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 2015  febbraio 04 Mercoledì calendario

Preso il complice della coppia dell’acido, Alex e Martina. In arresto un bancario di 32 anni: per il pm aiutò la bocconiana e il broker nell’aggressione. La sua difesa: «Bruciature sulle mani? L’ho aiutato in una ristrutturazione»

Nella notte balorda dell’acido disse: «Avevo mal di schiena, sono stato a letto fino alle 18.30. Poi mi ha svegliato il citofono. Era Martina».
Poco prima delle 18, in via Giulio Carcano, periferia Sud di Milano, Martina Levato, 23 anni, bocconiana, aveva scagliato due litri di acido contro il suo ex compagno di liceo, Pietro Barbini. Era il 28 dicembre scorso.
Qualche giorno dopo, riconvocato in questura, balbettò: «Le bruciature che ho sulle mani? Me le sono procurate aiutando Alexander Boettcher in lavori di ristrutturazione».
Boettcher, 30 anni, è l’amante della Levato, che, impugnando un martello da cantiere, inseguiva Pietro già colpito dall’acido.
Infine, di nuovo in questura, racconta: «Ho notato i tappetini corrosi nella mia auto, dato che spesso l’ho prestata a Boettcher e Martina, sapendo quel che hanno fatto con l’acido, ho ritenuto di doverlo dire». Inverosimile.
Eccolo, il «terzo uomo»: Andrea Magnani, anni 32, bancario della Mediolanum, aspirante «palestrato», amico e compagno di allenamenti di Boettcher, un piccolo difetto di pronuncia (la erre moscia) che Pietro Barbini aveva notato nella voce che, al telefono, l’aveva attirato in trappola in via Carcano, con la scusa della consegna di un pacco. E infatti è lui che ha fatto quelle telefonate: ha usato un servizio di telefonia via Internet (Voip), da un computer pubblico, indossando una parrucca per camuffarsi. Ed è lui che appare, con una felpa gialla, nel video della telecamera di un palazzo mentre corre per quattro volte su e giù a pochi metri dal luogo dell’aggressione. Ha raccolto le «prove» (i contenitori di acido) e poi è fuggito in macchina con la Levato: «Vai, vai, veloce». Il suo ruolo: supporto logistico, macchina (una «Fiat Grande Punto») prestata agli aggressori più volte, pieno concorso nell’agguato (secondo l’accusa). La domanda è: perché un ragazzo sposato con una donna bielorussa, un posto di lavoro regolare, una famiglia perbene alle spalle, s’è infilato in una feroce, abietta e immotivata catena di aggressioni devastanti? Boettcher-Levato sono sotto inchiesta anche per un agguato (fallito) del 15 novembre, mentre si indaga su un altro ragazzo sfigurato con l’acido un paio di settimane prima.
Andrea Magnani «crolla» nella nottata di lunedì. Il procuratore aggiunto Alberto Nobili e il dirigente dell’Ufficio prevenzione generale della polizia, Maria Josè Falcicchia, lo interrogano di nuovo in una stanza della questura. Nelle stesse ore della notte, come sempre da quando è iniziata questa indagine, il pm Marcello Musso è nel suo ufficio in Procura: dopo aver «incassato» la confessione di Martina durante la prima udienza per direttissima, sta scrivendo il «fermo» a carico di Magnani. Il suo verbale viene chiuso dopo le 2: «Credevo volessero fare uno scherzo», è la giustificazione. Che non ha alcuna possibilità di reggere, di fronte alla massa di elementi raccolti dalla polizia. Il suo racconto del pomeriggio dell’agguato rafforza però in maniera ancor più massiccia l’ipotesi dell’accusa.
Durante l’agguato a Pietro, la ragazza indossava «una parrucca tendente al rosso»; in una borsa c’erano quattro contenitori di acido: Martina ne ha scagliati due contro Barbini, «altri due li ha poi svuotati nel lavandino». Se questa è la dinamica, la domanda resta: perché Magnani ha partecipato?
Martina e Alexander s’erano addentrati in un vortice di pratiche sessuali estreme, che avevano acuito la degenerazione del mondo chiuso, fino a sfociare nella violenza di azioni punitive e purificatorie contro qualsiasi uomo avesse avuto rapporti con lei.
La venerazione di Martina per Boettcher potrebbe aver avuto il suo parallelo in Magnani: fisico sgraziato, carattere insicuro, aspirazioni da macho. Per questo, probabilmente, li ha aiutati: perché, a suo modo, venerava il suo amico narcisista, tutto muscoli e tatuaggi impastati in deliri di onnipotenza, che su Facebook si offriva al «pubblico» come Alexander the king.