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 2015  febbraio 04 Mercoledì calendario

Speranza, popolo, Costituzione, mafie, giovani, terrorismo, riforme: le parole più ricorrenti nel discorso del Presidente Mattarella ci dicono molto su come sarà il suo settennato

«Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. È un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro dev’essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza».
L’equilibrio tra i poteri
Comincia con un’offerta di neutralità il settennato di Sergio Mattarella. In nome dell’equidistanza s’impone di non fare strappi e non entrare mai «in partita», purché le forze politiche procedano a un disarmo bilanciato, civilizzino il confronto, non trucchino la gara e non ricorrano a pressioni per condizionarlo. In ogni caso fa capire che, anche per spingere verso questo obiettivo, eserciterà la sorveglianza costituzionale che il suo mandato prevede. Del resto, aggiunge, solo così si potranno realizzare le riforme di cui il Paese ha bisogno. E in fretta. Una rivisitazione della Carta che intende accompagnare secondo una concezione istituzionale dinamica, ma con due condizioni, appena suggerite ma chiare come prova di maturità del sistema: 1) che si mantenga l’equilibrio nel rapporto tra governo e Parlamento con il rispetto delle rispettive garanzie, per non mortificare «una corretta dialettica parlamentare»; 2) che si limiti il ricorso alla decretazione d’urgenza (problema sul quale del resto c’è già una proposta risolutiva dentro la riforma), perché va superata «la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo».

Le ferite della crisi
Ecco l’idea dell’Italia, e della «responsabilità» assunta da ieri in quanto «rappresentante dell’unità nazionale», che il dodicesimo presidente della Repubblica ha illustrato nel discorso d’insediamento a Montecitorio. Un intervento nel quale ha rivelato, su temi vecchi e nuovissimi, la sensibilità che gli deriva dalla sua formazione di cattolico sociale. Lo si è visto fin dall’incipit, dedicato alle «ferite» che una «crisi protrattasi oltre ogni limite ha inferto al tessuto sociale, mettendo a dura prova la tenuta del sistema produttivo». Effetti devastanti, dice, perché «ha aumentato le ingiustizie, ha generato nuove povertà, ha prodotto emarginazione e solitudine». Fatale che in tale scenario Mattarella elenchi «le angosce di tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro ai ragazzi», «il lavoro che manca per tanti giovani, specie nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà nel garantire diritti e servizi fondamentali».
Il riconoscimento al governo
Questi «i punti dell’agenda su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo», dice il capo dello Stato. Avvertendo che «dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori sui quali si fonda il patto sancito dalla Costituzione». In altre parole: il pericolo che incontrollate scosse sociali possano sgangherarsi in forme tali da minacciare la stessa Carta. Unico antidoto a tale deriva: «alimentare l’inversione del ciclo economico». Attraverso il «consolidamento finanziario», certo. Al quale va comunque accompagnata «una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo». E qui scatta un riconoscimento al governo di Matteo Renzi, che «ha opportunamente perseguito questa strategia», e che di sicuro lui stesso sosterrà nelle sedi Ue.
Le attese dei giovani
Ma per «confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale», la Repubblica deve «rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza». Di questo c’è bisogno, per includere sul serio e dare «risposte adeguate alle sfide». Di riforme «per adeguare la nostra democrazia» agli standard europei. Riforme istituzionali, economiche, sociali. Che abbiano per destinatari i giovani, le imprese, la pubblica amministrazione. Tutto si tiene. «L’orizzonte di speranza» evocato da Mattarella presuppone un Paese che cammina unito nella strada indicata dalla Costituzione, quando sottolinea «il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica». Ruolo sempre più importante, oggi, considerato che «la crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione», ossia i partiti, mentre dalla società emergono nuove modalità d’espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti». È il caso di movimenti come il 5 Stelle (composto di «giovani parlamentari portatori di speranze e attese dei propri coetanei, con capacità di critica e anche di indignazione»), al quale ha così mostrato un’attenzione senza interdetti.
La Resistenza e la libertà
Lo snodo forse più emotivo del discorso viene dopo. Quando il capo dello Stato, in uno stringato ed efficacissimo elenco – come lo potrebbe fare in una lezione di diritto pubblico – spiega che cosa significhi «garantire la Costituzione». Un memorandum in cui, dopo aver ricordato i principi e i valori di libertà conquistati grazie alla Resistenza e al «sacrificio» di quanti restituirono l’onore all’Italia, si ferma con una forza particolare sul tema della corruzione, che «ha raggiunto un livello inaccettabile». Per lui, infatti, garantire la Carta «significa affermare e diffondere un senso forte della legalità». Ed è per questo che, sillaba, «la lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute», considerando che «la diffusione delle mafie è un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazione, calpesta diritti». Una lotta nella quale abbiamo avuto «molti eroi, come Falcone e Borsellino» (e non cita, per naturale pudore, il fratello Piersanti), e che per essere vinta richiede «una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci».