la Repubblica, 4 febbraio 2015
Etica a parte, sono ancora grandi gli ostacoli scientifici per la tecnica dei “bebè con tre genitori”. Lo spiega Han Brunner, lo scienziato olandese che dirige la Società europea di genetica umana: «Sono necessari nuovi studi per escludere ogni rischio»
Etica a parte, sono ancora grandi gli ostacoli scientifici per la tecnica dei “bebè con tre genitori”. Lo spiega Han Brunner, lo scienziato olandese che dirige la Società europea di genetica umana e insegna nelle Università di Nijmegen e Maastricht.
Siamo su un piano inclinato che ci porterà alla creazione di bambini su misura, come temono i detrattori di questa tecnica?
«No, penso che sostituire un Dna malato con Dna sano non abbia nulla a che vedere con il creare bambini su misura. Stiamo cercando di prevenire malattie molto gravi, di correggere dei difetti che possono verificarsi in natura. E questo è da sempre ciò che intendiamo con la parola medicina».
Ma, dal punto di vista scientifico, la tecnica è davvero matura?
«È una tecnica in evoluzione che presenta ancora molti ostacoli. I primi tentativi risalgono agli Anni ‘90, principalmente negli Stati Uniti, e hanno portato alla nascita di una trentina di bambini. Quella versione dell’esperimento prevedeva l’iniezione dei mitocondri normali, presi da una donatrice, all’interno dell’ovulo della donna con i mitocondri malati. In questo modo il Dna malato si ritrovava affiancato da una certa percentuale di Dna sano, nella speranza che il bambino sarebbe nato privo di malattie. Ma i benefici di questi esperimenti non sono apparsi del tutto chiari, così come restano aperte alcune questioni legate alla sicurezza. L’agenzia regolatrice americana, la Food and Drug Administration, ha vietato la procedura nel 2001, chiedendo di condurre uno studio clinico per escludere ogni possibile rischio. Da allora nessun altro esperimento è stato ripetuto sugli uomini».
La decisione inglese incontra consenso fra gli scienziati del resto del mondo?
«C’è consenso sul fatto che – teoricamente – la tecnica rappresenta un grande passo avanti. Ma molti scienziati temono che le conoscenze e le tecnologie attuali non siano sufficienti per un’applicazione pratica. Dovremmo mettere a punto un programma molto accurato e prudente che tenga in considerazione ogni possibile rischio. Io suggerirei piuttosto di fecondare molti ovuli della stessa donna e poi analizzarli uno a uno, nella speranza di trovarne uno con il Dna poco compromesso. In questo caso, ovviamente, non parleremmo di bambini con tre genitori».
Le coppie inglesi che adotteranno questa tecnica non avranno dunque garanzia di avere figli?
«No, non possiamo dare certezze a questo punto della ricerca. L’opinione corrente nel mondo scientifico è che occorreranno diversi anni di sperimentazione sui modelli animali e con gli embrioni umani nelle primissime fasi dello sviluppo prima di offrire questa tecnica ai pazienti che si presentano in ospedale».