Libero, 3 febbraio 2015
L’addio al Moulin Rouge. La pruriginosità del sesso è sepolta da zaffate di kebab e samosas. I giovani dissoluti in frac sostituiti da tre turisti russi paonazzi e obesi in braghe corte. Toulouse-Lautrec ha lasciato il posto ai madonnari. Il tempio dell’erotismo elegante e raffinato fa acqua da tutte le parti
Parigi è una città da sempre associata all’erotismo. Agli occhi degli stranieri, i suoi bistrot pullulano di dark ladies con calze a rete e dal rotacismo aggravato dal consumo di Gitanes papier Maïs pronte a saltare addosso al primo malcapitato che le guarda con troppa insistenza. Sono nato nell’era post-legge Merlin. Alcuni miei coetanei, i più abbienti, venivano condotti dal padre alla Ville Lumière per perdere la loro verginità. (...).
Se la capitale francese era considerata il centro del sesso, Pigalle ne era il cuore pulsante e il Moulin Rouge l’arteria principale. Non ci sono mai stato, e dubito che ci andrò mai. Sono passato molte volte per Pigalle e ho visto il mulino rosso di cartapesta che sovrasta l’edificio del Boulevard de Clichy. Trovo tutto terribilmente datato. Il concetto stesso di quartiere a luci rosse fa ormai sorridere. La pruriginosità del sesso è sepolta da zaffate di kebab e samosas. I giovani dissoluti in frac sostituiti da tre turisti russi paonazzi e obesi in braghe corte. Toulouse-Lautrec ha lasciato il posto ai madonnari e ai ritrattisti istantanei che esibiscono sempre un bel carboncino di Brad Pitt, a suggerire che passi di lì ogni mattina per farsi effigiare. Il Moulin Rouge dovrebbe essere il tempio dell’erotismo elegante e raffinato: un’idea che, ormai, fa acqua da tutte le parti. Era il vessillo che sventolavano mezzo secolo fa i pornografi pusillanimi e le loro modelle tremebonde: «Non mi farei mai fotografare nuda, tranne, ovviamente, che per un servizio artistico». Questa scusa permetteva alla sgallettata di turno di esibire le pudenda conservando una distanza rispetto alla macelleria ginecologica.
La rincorsa a svelare porzioni crescenti del corpo femminile fu scatenata dalla concorrenza. Playboy, di Hugh Hefner, sdoganò per primo il nudo, ponendo però dei confini molto precisi intorno alla sinfisi pubica. Penthouse, di Bob Guccione, li violò e rubò parte dei clienti alla testata. Larry Flint, con Hustler, sparigliò il mazzo andando dritto verso la meta (...). Torniamo piuttosto al nostro Moulin Rouge. Inaugurato nel 1889 dal pittoresco impresario Charles Zidler, il locale conobbe un iniziale successo grazie alla sua prima étoile, Louise Weber detta La Goulue (la golosa); per noi tapini, illustre sconosciuta strappata all’anonimato dai ritratti di Henry de Toulouse-Lautrec. Ben maggiore fama conobbe la star più splendente: Mistinguett. Ma anche questo è un nome che si perde nell’oblio. Sopravvivono però, senza difficoltà, le generalità di altri performer: Edith Piaf, Yves Montand, Le Pétomane, Joséphine Baker e un poco francese Frank Sinatra.
Qualche anno fa ho visto in televisione un programma sulla selezione del corpo di ballo, a essere sincero non ricordo se fosse stato filmato al locale di Pigalle o presso il suo concorrente, il Crazy Horse. Comunque, il meccanismo è il medesimo, e il coreografo ha ripetuto fino all’esasperazione due concetti abbastanza banali: le candidate dovevano essere eccezionalmente professionali, sia in termini di perizia tersicorea sia in termini di rispetto degli orari delle prove, e uniformarsi al suo concetto di venustà. Non so quale fosse l’inclinazione sessuale del selezionatore, ma stava cercando, di fatto, di mettere in piedi una squadra femminile di nuoto sincronizzato. Uno spettacolo che io trovo sexy quanto una sfilata di carriste dell’esercito bulgaro. «Vai a vedere le donne nude, stasera?». «No, vado ad ammirare la perizia con cui le ballerine eseguono il plissé». Tutte uguali. Statura media, tettine a coppa di Champagne, capelli a chignon, impegnate a sgambettare con uno sguardo di severa determinazione negli occhi. (...).
Confesso il mio snobismo. Ho visitato il sito. Il Moulin Rouge propone cene a prezzo fisso con bottiglia inclusa. Insomma, il veglione di capodanno aziendale. Sono stato più di una volta a vedere lo spettacolo al Tropicana o al Parisienne a La Habana. Divertente, ma temo che non siamo più abituati all’idea di passare tutta la sera nello stesso locale. Preferiamo cenare in un ristorante in cui si mangi e si beva bene senza musica, per poi cercare un altro posto in cui ballare (loro) e tracannare una piccola piscina di alcolici fuori dove si può ancora fumare (io). Pubblichiamo l’articolo «Moulin Rouge adieu» del londinese Paul De Sury, docente universitario di economia e romanziere, tratto dal numero 143 della rivista mensile Monsieur in edicola in questi giorni.