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 2015  febbraio 03 Martedì calendario

Il caso Loris. Il movente di Veronica: «La madre ha agito in preda ad uno stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile per il fallimento del piano mattutino che, evidentemente, quel giorno non prevedeva l’ingombrante presenza del suo primogenito». Così si legge nelle 109 pagine delle motivazioni della decisione con cui il tribunale del Riesame di Catania ha confermato la custodia cautelare

«Mamma, perché ti stai truccando? Dove devi andare?». «A un corso di cucina, Loris». «Io vengo con te, a scuola non ci voglio andare». «No, tu vai a scuola e basta». Aveva visto sua madre con un look particolarmente curato quella mattina del 29 novembre Loris Stival, si era “incuriosito” e non voleva lasciarla. Sarebbe stato questo il motivo della discussione che, mezz’ora dopo, avrebbe portato Veronica Panarello ad uccidere suo figlio, legandogli i polsi, strangolandolo con una fascetta da elettricista e gettandone poi il corpo in un canale. «Veronica ha agito in preda ad uno stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile per il fallimento del piano mattutino che, evidentemente, quel giorno non prevedeva l’ingombrante presenza del suo primogenito». È nelle 109 pagine delle motivazioni della decisione con cui il tribunale del Riesame di Catania ha confermato la custodia cautelare per Veronica Panarello, che il presidente Maria Grazia Vagliasindi indica, per la prima volta, il possibile movente dell’atroce delitto di un bimbo di 8 anni che – secondo l’impianto accusatorio della Procura di Ragusa guidata da Carmelo Petralia – sarebbe stato ucciso senza un apparente motivo da sua madre, quella che i giudici definiscono una «lucidissima, crudele assassina che può uccidere ancora».
Qual era il “piano mattutino” di quel sabato di novembre di Veronica Panarello? Semplicemente quello di andare al corso di cucina al castello di Donnafugata, come poi in effetti ha fatto dopo aver ucciso suo figlio e nell’attesa di lanciare l’allarme davanti a quella scuola dove continua a dire di averlo accompagnato, o invece quello di qualche incontro clandestino con uno degli uomini che le chiacchiere di Santa Croce Camerina le attribuiscono ma dei quali gli inquirenti non hanno ancora trovato alcuna certezza? La pista del presunto complice che potrebbe aver affiancato la donna in una delle fasi del delitto non è mai stata abbandonata dagli inquirenti. Di segreti, nella vita di questa giovane donna sola e psicologicamente fragile, ce n’era più d’uno e gli investigatori della squadra mobile ne hanno trovato traccia sui social network. Veronica, ad esempio, aveva disattivato il suo profilo facebook, “Vero Nica” (del quale il marito Davide aveva la password), il giorno prima della morte di Loris e lo ha riattivato tre giorni dopo, ma nel suo telefonino è stata trovata traccia di accessi ad un altro profilo “coperto”. Perché e con chi comunicava Veronica con quel profilo e lo ha fatto quel giorno? Interrogativi senza risposta fino a quando da Palo Alto, in California, dove è sito il server di Facebook, non arriverà l’ok all’accesso all’account in questione. Ma fino a questo momento la richiesta partita da Ragusa non ha ottenuto alcuna risposta.
I giudici del Riesame, davanti ai quali Veronica ha parlato per molte ore alla vigilia di Capodanno rivendicando la sua innocenza, usano parole durissime nei confronti della donna che è stata incastrata dalle decine di telecamere del paese che ritraggono la sagoma di Loris (che anche il padre ha riconosciuto) ritornare verso casa invece di salire sulla macchina della madre che avrebbe dovuto portarlo a scuola e che non inquadrano mai l’auto di Veronica nel tragitto che lei sostiene di aver fatto. Immagini che il tribunale definisce «nitide» quelle che provano che Loris quel sabato mattina non andò mai a scuola. «Una trama indiziaria fittissima e il suo comportamento processuale», inchiodano Veronica che – sottolineano i giudici – ha dimostrato una «sconcertante glacialità nell’ordire la simulazione di un rapimento a scopo sessuale», una «impressionante determinazione nel liberarsi del cadavere del figlio, scaraventandolo nel canalone» per «lucidamente occultare le prove del crimine».
«Niente di nuovo», commenta l’avvocato Francesco Villardita. Lei, Veronica, resta nel carcere di Agrigento. Sempre più sola ora che, anche dopo l’unico drammatico incontro dietro le sbarre, suo marito sembra averle voltato definitivamente le spalle.