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 2015  febbraio 03 Martedì calendario

Lo sconto di pena e l’invito al Colle stemperano l’umiliazione di Silvio ma non restaurano il Nazareno. Ecco cosa si nasconde dietro al protocollo

A volte la storia è fatta di dettagli. Nelle ultime ore ce ne sono un paio che raccontano qualcosa dell’attuale stagione. Il primo: stamane alla cerimonia per l’insediamento del presidente della Repubblica sarà presente anche Berlusconi, nella veste di ex presidente del Consiglio. Il protocollo serve in questo caso a coprire un’esigenza politica: la volontà, condivisa senza dubbio dal nuovo capo dello Stato, di stemperare le tensioni che hanno scandito il voto del Parlamento. Berlusconi, estromesso a suo tempo dalla Camera e nei giorni scorsi umiliato da Renzi nella vicenda del Quirinale, ottiene attraverso il cerimoniale un riconoscimento formale che lo aiuta a riassestarsi.
Secondo dettaglio: quasi nelle stesse ore il capo di Forza Italia guadagnava anche uno sconto sui servizi sociali di Cesano Boscone. Quarantacinque giorni in meno rispetto alla sentenza: il 6 marzo, in pratica un mese da oggi, come data ultima della pena. Una modesta riduzione, quasi una mini-grazia, che non chiude certo il capitolo giudiziario: resta aperto il processo Tarantini a Bari sulle «cene eleganti» e soprattutto la legge Severino impedisce a Berlusconi di ricandidarsi fino al 2019 (per questo è pendente il ricorso presso la corte europea di Strasburgo). Ma in definitiva è un altro piccolo segnale positivo per Berlusconi.
Occorre tuttavia fare attenzione. Non stiamo assistendo alla rinascita del famoso «patto del Nazareno», cioè a una sorta di riabilitazione che permetterebbe all’ex premier di riprendere il discorso dove l’aveva lasciato prima del poker di Renzi. Non esiste un «heri dicebamus» in questa storia, come non è mai esistito un condominio fra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, se non nella mente di qualcuno. C’è semmai una logica per cui il «patto» diventa sempre più una questione di convenienza pratica. E il più interessato a non interrompere il filo delle intese parlamentari, ossia delle riforme condivise, oggi è senz’altro Berlusconi.
È lui il più debole sul piano politico, al limite dello psicodramma; lui che è uscito sconfitto dal confronto sul Quirinale e ormai non è quasi in grado di porre veti o esercitare l’interdizione. È lui quindi che deve affrettarsi ad afferrare la mano che gli viene tesa per evitare di perdere tutto. La rete degli interessi economici che ruotano intorno a Mediaset consiglia più che mai la massima prudenza e il ritorno a un comportamento istituzionale. Fosse anche la presenza muta e composta all’insediamento di un presidente che Forza Italia non ha votato, salvo una pattuglia non irrisoria di franchi tiratori ai quali lo stesso leader, sotto sotto, aveva lasciato la briglia lunga.
Chi vuole potrà continuare a chiamarlo «patto del Nazareno», ma è evidente che si tratta d’altro. Da un lato c’è in questo momento una figura egemone, in grado di dare le carte o ritirarle dal tavolo; dall’altro, un personaggio che deve accettare la realtà, fino a rendersi conto di non possedere in alcun modo la forza per competere nella gestione del potere. Nonostante tutto, Renzi resta un interlocutore a cui quel che resta di Forza Italia non può rinunciare. È un approdo poco sicuro, come si è visto, ma è l’unico che può assicurare al centrodestra visibilità e un ruolo pubblico, sia pure in chiave subordinata. Vedremo allora nelle prossime settimane cosa accadrà.
Ci sono pochi dubbi che Berlusconi si affretterà a manifestare rispetto verso il presidente Mattarella, rifuggendo anche solo l’idea di aprire una polemica preventiva nei suoi confronti. Renzi potrà allora sfruttare la tregua a destra per bilanciare gli accordi all’interno del Pd. La coesione ritrovata con l’area di Bersani è essenziale, purché non diventi la premessa per richieste eccessive nel campo delle riforme: in particolare della legge elettorale. In tal caso le vecchie intese con i berlusconiani potrebbero tornare utili. Viceversa, l’esigenza di tenere unito il Pd e in generale il centrosinistra potrà servire a limitare e migliorare il decreto fiscale, quello con la soluzione 3 per cento che tanto male ha fatto all’immagine del renzismo.