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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

La vita da moroteo del prossimo presidente della Repubblica che già abita al Colle. Sergio Mattarella viene descritto come un uomo dalla schiena dritta, riservato, metodico, freddo e distaccato. Ecco perché ha attraversato molti mari politici senza polemiche. O quasi

Il meglio dai giornali di oggi su Sergio Mattarella, il candidato del Pd per il Quirinale.

«Sarà votato alla quarta votazione, sabato mattina», con queste parole Renzi ha lanciato la candidatura di Sergio Mattarella. Poi si è lanciato in un ritratto del politico siciliano: uomo dalla «schiena dritta, della battaglia contro le mafie e della politica con la P maiuscola». Ma non solo: È «uno dei pochi che ha avuto il coraggio di dimettersi». E poi «è giudice costituzionale e noi stiamo cambiando la Costituzione. Mattarella è difensore della Carta che non significa imporne l’intangibilità, ma essere capace di valorizzare i processi di transizione» [Marco Galluzzo, Cds 30/1].
 
Sergio Mattarella, 73 anni, di Palermo, figlio di Bernardo (1905-1971) ministro, deputato e potente democristiano in Sicilia, fratello di Piersanti, presidente della Regione Sicilia, morto per mano della mafia, abita già sul Colle del Quirinale. Nella foresteria che è a disposizione dei giudici della Corte costituzionale [Roncone, Cds 30/1].
 
«Osservando il palazzo dove andrà a risiedere il nuovo Capo dello Stato, la foresteria è sulla destra. Se davvero l’incarico toccherà a Mattarella, egli non dovrà che attraversare la strada. Meno di cento passi. Poi, lo accoglieranno i corazzieri sull’attenti» (Fabrizio Roncone).

 Il suo appartamento in via Cordonata è spartano. Due stanze, angolo cottura e bagno. Pieno di libri e faldoni, e molto caldo perché si dice che sia molto freddoloso. Si è traferito lì dopo la scomparsa della moglie Marisa Chiazzese (morta il 1° maggio 2012). Prima vivevano in un appartamento in affitto in via della Mercede [Roncone, Cds 30/1; Ajello, Mess].
 
Da tre anni il giudice costituzionale percorre a piedi i centocinquanta metri che lo separano dalla Consulta e non gli capita spesso di cambiare abitudini. Ieri, però, era impossibile per via delle telecamere, così ha chiesto alla sua storica segretaria, la signora Leandra di mandargli un’auto [Ciriaco, Rep 30/1; Roncone, Cds 30/1]
 
Sergiuzzo – questo il suo soprannome –ama la montagna e i canti di montagna perché gli ricordano i tempi dell’azione cattolica al San Leone Magno, non sa nuotare e una volta, da direttore del Popolo fece una partita a Risiko con i suoi redattori. Ci dicono anche che s’intende di calcio – tifa Palermo con una simpatia per l’Inter – e che detesta le interviste, le telecamere, il rumore della politica e le polemiche. [Roncone, Cds 30/1].

Sappiamo che si alza presto e che la sera rincasa intorno alle 21 [Ciriaco, Rep 30/1] 
  
Dovrà dire addio anche al Caffè del Quirinale, dove pranzava con una pizzetta prosciutto e formaggio, occhio di bue o pasticcini, yogurt e Pocket Coffee e niente più cene al Santa Cristina, il ristorante che confina con la foresteria [Ciriaco, Rp 30/1]. 
 
Il discorso di Renzi «Sergio non l’ha sentito in diretta, ma era molto contento di quello che gli ho riferito. Nei giorni scorsi mi è parso lusingato dalla trasversalità dei commenti positivi» racconta Saverio Garofani, un vecchio amico parlamentare Pd [Schianchi Sta].
 
Mattarella ha trascorso tutta la giornata di ieri chiuso nel suo ufficio, lavorando [Roncone, Cds 30/1].

Lo chiamano in centinaia ma lui risponde a pochi. Parla con Renzi, con Letta, con Silvio Berlusconi («Non ho nulla contro la tua persona però la candidatura deve essere condivisa»), Alfano («Sei una persona degnissima»), D’Alema, Franceschini, Bersani e Rosy Bindi. Con tutti Mattarella mostra cautela, come sempre. E a tutti affida soprattutto un pensiero: «Se andrà bene, sarà un onore. E il mio impegno sarà massimo» [Ciriaco, Rp 30/1].
 
«Io, Presidente? Non ho alcuna ansia. Se mi chiedessero di ricoprire un ruolo così, sarebbe un onore enorme. Tuttavia, ecco: il mio attuale lavoro di giudice mi piace moltissimo» (uno dei pochi fidati con cui ha parlato ieri Mattarella, che naturalmente ha chiesto di rimanere anonimo) [Roncone, Cds 30/1].
 
Mite, pacato, serio sin da ragazzo: «Era quello che a Roma chiamiamo un mollicone. Uno di quei ragazzi che stanno sempre zitti, che sembrano quasi troppo educati. Metodico, riflessivo, attento, studioso. A ben pensarci, sorrideva poco anche allora. Non aveva nemmeno l’accento siciliano» (Parla il signor Gino, negli Anni Cinquanta compagno di scuola dei fratelli Mattarella, al San Leone Magno, liceo privato molto cattolico). Con il fratello Piersanti con divideva la passione per lo sport e l’estrema educazione. Per il resto avevano due caratteri completamente diversi. A scuola Sergio andava molto bene [Mattioli, Sta 30/1].
 
A Roma i fratelli Piersanti e Sergio – che avrebbero sposato due sorelle, Irma e Marisa Chiazzese – figlie del romanista Lauro – giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro, e qualche volta il padre invitava a cena un monsignore che avrebbe fatto strada: Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI [Messina, Rep 30/1].
 
Scrive Sebastiano Messina su Rep. : «Si è sempre considerato un pendolare, metà siciliano e metà romano, visto che ha vissuto in Sicilia fino alle elementari e c’è tornato solo dopo l’università, come professore di diritto parlamentare alla facoltà di Giurisprudenza, in quell’Istituto di diritto pubblico diretto da Pietro Virga – intere generazioni di avvocati hanno studiato sui suoi manuali – dove alla fine degli anni Settanta insegnavano anche Leoluca Orlando, Vito Riggio e Sergio D’Antoni. Quel gruppo di giovani giuristi – cui si aggiungevano Carlo Vizzini (diritto finanziario), Giovanni Fiandaca (diritto penale) ed Enrico La Loggia (contabilità dello Stato) – a capodanno si riuniva proprio nella casa di Mattarella in via Libertà, dove puntualmente arrivavano il fratello Piersanti e la moglie, che abitavano nel palazzo di fronte. Altre volte l’appuntamento era a casa di Guido Corso, che sarebbe diventato un maestro del diritto amministrativo e che ancora oggi è uno degli amici più stretti di Mattarella. Che non sono tanti, neanche a Palermo: i più vicini sono l’avvocato Francesco Crescimanno, nel 2001 candidato sindaco del centrosinistra contro Cammarata, e Salvatore Butera, già consigliere economico di Piersanti» [Messina, Rep 30/1].
 
Le biografie di Mattarella partano tutte dalla figura del padre, poi dicono che avrebbe voluto fare il professore di Diritto pubblico e infine parlano della morte del fratello Piersanti [Roncone, Cds 30/1].
 
Il 6 gennaio del 1980, raffiche di mitra fermano per sempre Piersanti. È stato ammazzato davanti al portone di casa sua. In quello accanto, al pianterreno di via Libertà 135, nel centro elegante della città sventrata dalla speculazione mafiosa, c’era lo studio in cui, accanto al presidente della Regione, si riunivano il fratello Sergio, un altro giovane professore di diritto amministrativo che si chiamava Leoluca Orlando e un economista, Salvatore Butera, che guidava l’ufficio studi del Banco di Sicilia. Era il “think-tank” del giovane presidente che cominciava a sentirsi accerchiato e dedicava le sue serate a ragionare con quel gruppo di giovani professorini che condividevano la sua sfida.
 
Oltre a Piersanti, Mattarella ha un altro fratello Antonino, balzato agli onori delle cronache alla fine degli anni Novanta nell’ambito di un’inchiesta della procura di Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione mafiosa. Procedimento poi archiviato nel 1996 per mancanza di prove [Montesano Lib 30/1].
 
Tre anni dopo la morte di Piersanti, Sergio viene eletto deputato. Ciriaco De Mita, gli chiede di tornare a Palermo, e lì decide l’identità del nuovo sindaco: Leoluca Orlando [Roncone, Cds 30/1].

Il 26 luglio 1990 Mattarella si dimette da ministro della Pubblica istruzione dopo che l’allora premier Giulio Andreotti ha posto la fiducia sulla legge Mammì, quella che sancisce, definitivamente, l’esistenza delle tre reti televisive Fininvest: «Un gesto, di solito, avverte che sta per perdere la pazienza, ma lui  coltiva le virtù della pacatezza e dell’equilibrio, della prudenza (l’altra sera ha preferito non partecipare alla festa di congedo del suo amico Francesco Maria Greco, il nostro ambasciatore presso la Santa Sede) e del dialogo. È, forse, l’ultimo moroteo» [Roncone, Cds 30/1].
 
Tra i fondatori dell’Ulivo di Romano Prodi e, prima ancora, del Partito popolare. Nel 1993 lega il suo nome alla riforma della legge elettorale in chiave maggioritaria, nota – appunto – con l’appellativo Mattarellum. Con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi è vicepresidente del Consiglio e ministro della Difesa. Dal 2011 è giudice costituzionale [Roncone, Cds 30/1].

La calma la perde però nel 1994. Scrive Sorgi sulla Stampa: «Sarà stato il 20 di giugno, in un sotterraneo dell’hotel Ergife. In una saletta dalla luce incerta, non distante da quella in cui qualche mese prima Craxi aveva gettato la spugna, il Partito popolare erede della vecchia Dc rifletteva sulla peggiore sconfitta della sua storia: dieci milioni di voti, raccolti e persi per la maggior parte nei collegi, dove la legge spietata del vince chi ha un voto in più aveva visto cadere decine di candidati, e alla fine solo una novantina di eletti arrivare a Camera e Senato.  Il fondatore, Martinazzoli, s’era dimesso. Tra risentimenti e divisioni interne, era arrivato inaspettatamente a succedergli il professor Rocco Buttiglione, teorico di una inevitabile svolta a destra del partito che aveva nel suo Dna il “centro che guarda a sinistra”. Tensione, proteste, inutili discussioni regolamentari, come succede spesso quando la politica non ha più argomenti, e però i numeri sono numeri e Buttiglione ce la fa. A quel punto, un pezzo di sinistra dc, che fino a quel momento aveva governato il partito, si alza e se ne va. Escono gridando, sotto gli occhi increduli di chi rimane: “Fascisti, fascisti, fascisti!”. A guidare il piccolo corteo dei resistenti ci sono Rosi Bindi e Mattarella. Oggi che sono in pochi a ricordarsi di quell’episodio, nessuno si meraviglia: neppure gli amici siciliani abbottonatissimi sugli aneddoti sul Mattarella giovane, che ripetono che Sergio è sempre stato così: moderato, razionale, disponibile, ma fermo su principi e valori, sui quali non transige» [Sorgi, Sta 30/1].
 
Ma la famiglia, per Mattarella, viene prima della politica. Ha fatto da padre ai figli di Piersanti (Bernardo e Maria) e trova sempre il tempo per giocare con i sei nipotini che gli hanno dato i suoi tre figli (Laura, Bernardo Giorgio e Francesco). È per loro che torna sempre a Palermo, tutti i fine settimana, anche se appena arriva va da Franco Alfonso, il mitico barbiere di via Catania: la sua chioma bianca, Mattarella se la fa tagliare solo da lui [Messina, Rep 30/1].
 
Se non sta con i figli va a cena solo con gli amici di una vita «come il magistrato Pietro Sirena, presidente della IV sezione penale della Cassazione. Come il ginecologo Michele Ermini, suo compagno di scuola al San Leone Magno. O come l’ex presidente del Monte dei Paschi (ed ex ministro del Tesoro) Piero Barucci, che conobbe quando suo fratello Piersanti frequentava la Svimez di Pasquale Saraceno. Qualche volta accetta gli inviti di Giuliano Amato o di Sabino Cassese, suoi colleghi alla Corte Costituzionale. Altre volte – più raramente – va a pranzo con i vecchi compagni di partito che vengono a trovarlo, a cominciare da Pierluigi Castagnetti (al quale viene attribuita la paternità dell’idea di candidarlo al Colle), ma anche Rosy Bindi (che lo ha sempre trattato come un fratello maggiore) e Rosa Russo Jervolino (compagna di battaglie nel Ppi buttiglioniano). (…) Con Leopoldo Elia era solito passare intere serate a discutere di diritto costituzionale, con Pietro Scoppola condivideva la passione per la storia del popolarismo sturziano e con il cardinale Achille Silvestrini discettava di diritto canonico» [Messina, Rep 30/1].
 
Libero fa sapere che Mattarella ogni mese prende la pensione, il vitalizio da ex parlamentare e l’emolumento da giudice costituzionale.
 
«Da Repubblica al Corriere, il nome si è ripetuto con toni entusiasti. Sul quotidiano diretto da Ezio Mauro, il paginone dedicato al “personaggio” di Sergio Mattarella ha un titolo elegiaco: “Dalla morte di Piersanti al no sulla Mammì, una carriera con la schiena dritta”. È definito un uomo dai “modi felpati e i principi inviolabili” che “ama il grigio, evita le telecamere, parla a bassa voce e coltiva le virtù della pacatezza, dell’equilibrio e della prudenza”. Il lessico elegiaco continua con la citazione di Ciriaco De Mita, “In confronto a lui, Arnaldo Forlani è un movimentista”.  Sul Corriere si legge che è famoso tra i colleghi politici per il suo carattere freddo e distaccato. Forse per questa sua caratteristica umana ha attraversato molti mari politici senza mai uno scatto di nervi”» [Fat 30/1].
 
È un uomo mite fino a quasi ad apparire fragile: ma non bisogna farsi imbrogliare dalla timidezza. In Transatlantico, molte voci sicure: «Guardate che quello, dentro, ha il fil di ferro» [Roncone, Cds 30/1].