La Stampa, 30 gennaio 2015
Chi è Ferdinando Imposimato, il candidato scelto online dal M5S. Dal Pci alla lotta contro Gladio, un magistrato di grandi inchieste passato anche per Forum in tv
Come al solito, la sorte ha servito su un piatto d’argento ai pentastellati l’occasione ghiotta per far politica e mandare in fumo i piani di quello che additano come loro acerrimo nemico, Matteo Renzi e il suo «pd-meno-elle»: bastava scrivere sulla scheda per il Colle «Romano Prodi» per mandare in frantumi il Pd e a casa il premier. Ma il destino grillino sembra segnato dall’impulso pavloviano a rompere il giocattolo prima di aver provato a farlo funzionare. E dopo le rituali Quirinarie hanno puntato decisi su Ferdinando Imposimato.
Ma se in fondo i grillini a tutto questo ci hanno abituato, la vera domanda è: che cosa può spingere un magistrato dallo straordinario avvenire alle spalle a salire sul palco con Di Battista, a manifestare contro i governi bigotti (per carità, verissimo), a scendere in un agone dal quale sa che non uscirà mai e poi mai vincitore? Cosa ha portato un ex parlamentare del Pci che fu negli Ottanta e nei Novanta pietra angolare di mille commissioni contro mafia, stragi di Stato, terrorismo e criminalità a far propri gli anatemi antipartitici, proprio lui che era vessillo adamatino del partitone per eccellenza, il Pci poi Pds che all’epoca fu il più istituzionale, e su quei temi pure il più battagliero, tanto da ingaggiare su Gladio un’epica battaglia col Cossiga del Colle? Serve a poco ricordare questa o quella dichiarazione gomblottista, la extra-ordinaria conduzione da arbitro per la tv tribunalizia, e cioè Forum che fu format spacca-audience di Mediaset, o l’individuazione del solito Bildeberg come sentina di ogni capitalistico male e ogni democratica effrazione, «sta dietro tutta la strategia della tensione, ne ho parlato anche con Grillo», strage di Capaci compresa, disse l’anno scorso quando cominciò l’ascensione alle Quirinarie. Non aiutano nemmeno un profilo umano e una vita che portano lo sfregio di un fratello, Franco, ucciso dalla camorra nel 1983, come ricordò anni fa Giuseppe D’Avanzo e poi anche Roberto Saviano.
Non basta a spiegare e a farsene una ragione soprattutto scorrere il curriculum da giudice istruttore dei casi-chiave della storia repubblicana. Elenco lunghissimo, dal caso Moro all’attentato a Wojtyla, dall’assassinio di Bachelet a opera delle Br alla strage di piazza Nicosia a Roma, dal caso Sindona alla banda della Magliana. E poi l’attività pubblicistica, i libri che sono blockbuster (l’ultimo con Chiarelettere, legata al «Fatto quotidiano») e diventano pièce teatrali di successo. E poi consulente legale per l’Onu, esperto al Parlamento europeo per i problemi del terrorismo, e con premonizioni importanti sulla sfida jiahidista all’Occidente... Il mistero dell’uomo che frequentò troppi misteri, fino a perdersi nel labirinto dell’eterno ritorno del male, sta forse nel credere possibile sia trovare sempre una risposta, e la più semplice possibile. Di certo, quel che lo ha portato ad aspirare al Colle per conto di un comico e di un consulente d’azienda è il non aver avuto dubbi. Anzitutto sulla trattativa Stato-mafia. «È una cosa vergognosa», disse. Chiaro, e di sicuro effetto.