Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2015
Rapido 904. Dietro la strage di Natale rivendicata dalla Falange Armate c’era Cosa nostra. Parla il pentito Messina: «Era un segnale ai politici, ma anche un segnale di forza dentro la stessa nostra organizzazione»
Ha seguito la scia di sangue lasciata nei primi anni Novanta dalla banda della Uno Bianca e dalle stragi di Cosa Nostra. Quattro anni di violenti massacri, tra l’Emilia Romagna e la Sicilia, che ogni volta venivano rivendicati sempre con la stessa firma: Falange Armata. L’oscura sigla legata agli eccidi più misteriosi della storia recente, però, avrebbe fatto la sua comparsa già in precedenza, nei giorni successivi alla strage del Rapido 904, che il 23 dicembre del 1984 fece 16 vittime tra i passeggeri del treno diretto a Milano. A legare per la prima volta il nome della Falange alla strage del Rapido è stato un collaboratore di giustizia di lungo corso: Leonardo Messina, ex braccio destro di Piddu Madonia. “Borino Micciché (massone al vertice del clan mafioso di Caltanissetta, ndr) mi diceva che il treno era stato fatto saltare dalla Falange Armata che era Cosa nostra” ha detto il pentito davanti la corte d’assise di Firenze che sta processando Totò Riina, accusato di essere il mandante della strage del Rapido. Dichiarazioni che riavvolgono indietro di sei anni la comparsa della Falange sul panorama nazionale. “Cosa Nostra – ha spiegato Messina – rivendicava gli attentati tramite la Falange Armata per dare un segnale all’esterno, ma anche all’interno dell’associazione, così potevamo dire che non eravamo stati noi”.
Le finalità della strage di Natale insomma erano molteplici. “Era un segnale ai politici, ma anche un segnale di forza dentro la stessa nostra organizzazione”. Un vero e proprio inedito quello della Falange che rivendica anche la strage del Rapido, dato che fino ad oggi, la data ufficiale d’esordio dell’oscura sigla criminale è il 27 ottobre del 1990, quando al centralino dell’Ansa di Bologna arriva una strana telefonata: l’interlocutore, con accento tedesco, dice di voler rivendicare l’assassinio di Umberto Mormile, educatore carcerario assassinato l’11 aprile dello stesso anno. “Il terrorismo non è morto, ci conoscerete in seguito” conclude. Lo stesso anatema ripetuto il 5 aprile del 1991, quando c’è da rivendicare la strage del Pilastro: tre carabinieri assassinati dalla banda della Uno Bianca. Poi qualcosa cambia. E dal centro Italia, la Falange ricompare in Sicilia, nei pressi di Enna, dove nell’inverno del 1991 Riina inizia a convocare una serie di summit tra i capi mafia. La sentenza definitiva del maxi-processo è all’orizzonte, i politici non sembrano più in grado di garantire per Cosa Nostra, e i boss iniziano a pianificare l’aggressione allo Stato. “Bisogna pulirsi i piedi” dice Riina ai suoi. “Si trattava di azioni di tipo terroristico anche tradizionalmente estranee al modo di operare e alle finalità di Cosa Nostra. Queste azioni, secondo una prassi già in atto da tempo, dovevano essere rivendicate con la sigla Falange Armata” ha raccontato un altro pentito, Maurizio Avola. Ma chi è che suggerisce ai boss di Cosa Nostra di utilizzare quella sigla? Se lo chiedono i pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che indagando sulla Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa Nostra e che hanno approfondito il ruolo della Falange Armata. A un certo punto, i destini di Cosa Nostra e quelli dei falangisti sembrano uniti nello stesso identico disegno criminale: l’omicidio di Salvo Lima, quello del maresciallo Giuliano Guazzelli, la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, tutti fatti di sangue sui quali la Falange mette la firma. Per il pentito Messina, però, si tratterebbe soltanto di una scatola vuota, utilizzata per depistare le indagini, e congegnata già ben prima del 1990. “Appresi che all’interno di Cosa Nostra si era formata una vera e propria ala terroristica, della quale facevano parte uomini d’onore scelti dai corleonesi e provenienti della varie province per commettere reati destabilizzanti che poi dovevano essere rivendicati a nome di una sedicente Falange Armata. Tali discorsi risalivano già alla seconda metà degli anni 80”.
Per il Pm fiorentino Angela Pietroiusti, il racconto di Messina, conferma il quadro accusatorio: la strage del Rapido è il prequel della strategia stragista messa in atto da Cosa Nostra nel 1992. Una sorta di prova generale dell’attacco al cuore dello Stato, che anni dopo porterà pezzi delle istituzioni a intavolare una Trattativa con Cosa Nostra.