Libero, 30 gennaio 2015
Sarà anche fascista, populista e anti-europeo, ma intanto la sua Ungheria vola. Disoccupazione al 7%, la metà di quella italiana, Pil al 3,2%, il doppio della media europea. E deficit sotto il 3%. Uno schiaffo a Bruxelles
Lo scorso ottobre il primo ministro ungherese fu costretto da una protesta popolare a ritirare una impopolare tassa su Internet. A dicembre il senatore John McCain, già candidato repubblicano alla Presidenza Usa, ha definito l’Ungheria «sull’orlo della dittatura» e Orbán «un dittatore neo-fascista che va a letto con Putin», nell’attaccare Obama per la nomina a ambasciatrice a Budapest di una produttrice tv da lui considerata impari al difficile compito. Il 2 gennaio un’altra manifestazione si è tenuta con gli slogan «più democrazia!» e «Orbán vai via!». Il primo febbraio una ulteriore protesta è stata convocata nel giorno in cui a Budapest arrivava Angela Merkel. E a sei ungheresi dell’entourage di Orbán è stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti. Insomma, Orbán è da molti considerato un personaggio inquietante.
Altri dicono che c’è una campagna contro di lui semplicemente perché conduce una politica indipendente: non ha voluto entrare nell’euro, ha detto che con le sanzioni a Putin «l’Europa si è tirata la zappa sui piedi da sola», ha firmato con la Russia un accordo per potenziare la centrale nucleare di Paks, ha permesso alla Cina di investire in Ungheria oltre che nella vicina Serbia 3 miliardi di dollari.
Dal punto di vista politico e geopolitico, il dibattito è dunque aperto. Il rapporto appena uscito di Freedom House, ong Usa che ogni anno fa le pagelle ai Paesi del mondo dando un voto al livello di libertà civili e uno ai diritti politici a partire da un massimo di 1, ha confermato per il terzo anno di fila 2 per le libertà civili, retrocedendo i diritti politici da 1 a 2. Motivo: una campagna elettorale affrontata dal partito di governo in condizioni di evidente vantaggio e le dichiarazioni di Orbán circa il fatto che una democrazia non deve essere automaticamente «liberale». Però fino a 2,5 per Freedom House si è ancora nella categoria dei “Paesi Liberi”.
Dal punto di vista economico, però, il dibattito non ha maniera di essere. Semplicemente, l’Ungheria economicamente funziona. Come dimostrano alcuni dati appena resi noti dall’Ufficio statistico centrale ungherese (Ksh). Nell’ultimo trimestre del 2014, in particolare, il numero dei senza lavoro in Ungheria è stato di 319.000 unità: 80.000 in meno rispetto allo stesso periodo del 2013. Il tasso di disoccupazione è sceso così di due punti percentuali, toccando il 7,1%. un livello ormai consolidato nel corso degli ultimi mesi. Il Ksh ha stimato inoltre che nella fascia d’età 25-54, quella dei cittadini più attivi sul mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,4%, -1,7% su base annua. Certo, il 47,3% di chi cerca lavoro rimane senza impiego da più di un anno, e la durata media della ricerca per un posto è di 17,9 mesi. Ma in Italia le ultime cifre reperibili parlano di 21 mesi, con punte di 27 al Sud. Il Ksh ha citato anche dati del Servizio nazionale per l’impiego (Afsz), secondo i quali alla fine del dicembre 2014 in Ungheria erano 391.000 le persone in cerca di un lavoro: il -5,6% rispetto al dicembre 2013.
Quanto al Pil, tirato dai settori manifatturiero e automobilistico dopo l’uscita dalla recessione nel 2013 nel 2014 è cresciuto del 3,2%, che è più del doppio dell’1,5% della media europea. Il deficit di bilancio è restato al di sotto del 3% fissato da Bruxelles pr il quarto anno consecutivo, per il 2015 la speranza è di restare su una crescita doppia alla media Ue e il governo spera do ridurre il debito pubblico al 75% del Pil, contro l’80% attuale. Pure in obiettivo è il pieno impiego entro il 2020. Insomma, anche se Orbán si proclama di destra e Tsipras di sinistra, forse proprio a Budapest il nuovo governo greco potrebbe trovare una bussola sulla quale orientarsi.