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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

Ariane Mnouchkine da 50 anni insegue l’utopia. A cambiare il mondo lei non rinuncia. E con il suo Théâtre du Soleil combatte per i sans papier, gli esuli afghani e tibetani, i rifugiati politici di ogni parte del mondo

Sulla strada dell’utopia Ariane Mnouchkine è in marcia da oltre mezzo secolo. E se tanti nel frattempo si sono perduti, tornati indietro, preso vie laterali più comode, peggio per loro. A cambiare il mondo lei non rinuncia. Nemmeno ora che i riccioli sono candidi e il bel viso severo porta le rughe di molte battaglie per l’integrazione e l’accoglienza. Per i sans papier, gli esuli afghani e tibetani, i rifugiati politici di ogni parte del mondo.
Combattute da questa icona del teatro, la più grande regista della scena europea, insieme con la troupe multietnica del suo Théâtre du Soleil, spazio dell’immaginazione al potere, sorto in un’ex fabbrica di munizioni, la Cartoucherie, nel bosco di Vincennes, fuori Parigi. Dove, dal ’64, Ariane dipana con coraggio e passione il suo filo di impegno e fantasia, tenerezza e fiducia.
«La Cartoucherie è la mia casa. Lì vivo con la mia “famiglia allargata”, una settantina di persone tra attori e tecnici, tutte unite dai medesimi ideali, tutte coinvolte nella creazione teatrale collettiva».
Una «comune» nel vero senso della parola. Dove tutti partecipano alle decisioni, tutti, lei compresa, ricevete lo stesso salario, 1.800 euro al mese.
«L’eguaglianza non è una parola astratta. Come non lo sono la libertà e la fratellanza. I cardini della nostra Rivoluzione. Da cittadina francese sento il dovere di metterle in pratica».
Bandiere di illuminismo e tolleranza che domani a Percoto, in Friuli, le varranno il prestigioso Premio Nonino. A consegnarglielo Peter Brook, altra leggenda del teatro, che come lei ha sempre condiviso quei valori.
«Anche Peter è un figlio del secolo dei Lumi. Ci conosciamo da tanti anni, il nostro è stato un percorso parallelo».
Non a caso lei ha firmato «1789», famoso spettacolo che paradossalmente ha debuttato non in Francia ma a Milano.
«È stato Paolo Grassi a invitarmi. Conosceva il nostro teatro e ne condivideva la filosofia e il linguaggio. Grassi è stato molto importante per noi. Ci ha sostenuto agli inizi, ci ha invitati successivamente anche con L’Age d’or. E quindi, da presidente della Rai, ha anche coprodotto il nostro film su Molière».
E di Strehler cosa ricorda?
«Alcuni suoi spettacoli. Soprattutto l’ Arlecchino e I giganti della montagna. Un grande regista, ma l’amicizia è stata più con Grassi. Il legame con il Piccolo, proseguito fino a oggi, lo dobbiamo a lui».
Il suo teatro porta in scena i classici, da Eschilo a Shakespeare (ultimo titolo, «Macbeth»), intrecciandoli però con culture «altre», specie orientali. E così pure accade per i tanti testi originali, mirati all’attualità, scritti su misura da Hélène Cixous.
«Di volta in volta abbiamo affrontato il tema delle guerre, dall’Iraq alla Siria, dell’esilio, dell’umanità e della cultura violate. I tibetani oppressi dai cinesi, gli afghani e i palestinesi in perenne conflitto civile…».
Il suo è davvero un teatro speciale. Anche nella forma?
«Il Soleil è aperto a tutti. Giovani e meno giovani, francesi e stranieri si ritrovano qui uniti da emozioni comuni. Dal legame misterioso e quasi erotico che il pubblico stabilisce con chi è in scena».
Ogni sera è lei ad accogliere come una padrona di casa il pubblico, invitandolo a spiare gli attori prima dello spettacolo, mentre si truccano e si vestono. E poi a mangiare tutti insieme il cibo cucinato dalla compagnia.
«Il teatro è questo. Non spettacolo ma rito, cerimonia collettiva da cui tutti, attori e spettatori, devono uscire più forti e più umani. Il teatro non è solo quel che dici, è quel che fai. Concreto come l’utopia. Che non è qualcosa impossibile da fare, ma qualcosa che ancora non è stata fatta. L’importante è provarci, camminare su quella strada».
Cosa direbbe a un giovane d’oggi?
«Di fuggire come la peste la cupezza appiccicosa che ci gettano addosso tutti i giorni, fatta di odio e di diffidenza verso gli altri. Di tornare a sognare, nonostante il cinismo e la volgarità imperanti. Di credere all’immaginazione, il nostro muscolo più importante. Ma anche alla puntualità e alla gentilezza. Così necessarie nel quotidiano. E soprattutto di credere nell’amicizia, la vera pozione magica della vita».
Senza alcun limite?
«I soli sono la coscienza, il rispetto dell’altro, la giustizia, la solidarietà».
Parole difficili da metter in pratica dopo la tragedia di Charlie Hebdo e le polemiche conseguenti.
«Quelle vignette possono anche non piacermi, ma sono prima di tutto una cittadina francese. E la Francia è uno stato laico, dove dal XVIII secolo sono in vigore la libertà di parola e di satira. Questa è la nostra legge. Per questo alla grande manifestazione dell’11 gennaio i miei attori e io abbiamo partecipato issando un’enorme Marianne di legno e pezza. Per ricordare a tutti i nostri valori cardine».