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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

A sette mesi dall’annuncio del ministro Alfano, il caso Yara è tutt’altro che risolto. Dna, certezze e passi falsi. Una parte della traccia biologica non c’è più ma Bossetti resta in carcere

Giustizia e scienza. Il dibattito è aperto. Il Dna divide, gli esperti s’affannano. Vero, falso, probabile. Al netto di tutto resta la domanda: Giuseppe Bossetti rapì e uccise la 13enne Yara Gambirasio? Fu il 44enne carpentiere di Mapello, sposato con tre figli, una vita riservata, dedicata a famiglia e animali, ad aggredire, colpire e infine abbandonare la ragazza di Brembate nei gelidi campi di Chignolo d’Isola, dove fu poi ritrovata il 26 febbraio 2011, esattamente tre mesi dopo la sua scomparsa?
Tanti dubbi. L’ultimo, fresco di cronaca, riguarda la genetica. Si scopre, ed è lo stesso perito della Procura di Bergamo a scriverlo, che la parte mitocondriale del Dna trovato sugli slip di Yara non appartiene a Bossetti. Ignoto 1, dunque, non è il carpentiere appassionato di cani e lampade abbronzanti? L’avvocato del presunto killer conferma. Il magistrato frena: non scherziamo, quella è e resta l’impronta di Bossetti. Come spiegato ancora ieri dal capo della Procura di Bergamo Francesco Dettori. A parlare, ragionano gli inquirenti, è la parte cellulare del Dna, quella sì corrispondente all’indagato. L’enigma si allarga. Cellulare o mitocondriale? Ne basta uno (in questo caso il nucleare)? Oppure servono entrambi per dare nome e cognome al killer? Un fatto è certo: a oggi di Dna nucleare non c’è più traccia. Le scorte repertate sul corpo della ragazza sono andate esaurite. Resta, invece il mitocondriale che però non corrisponde. Di più: la traccia regina (codificata 31G20) individuata sugli slip tagliati viene descritta come “mista”. C’è Yara, ma c’è anche il suo assassino. Fino a pochi giorni fa, però, si sapeva che i rapporti di quantità erano a favore di Bossetti, ora, invece, si scopre che buona parte del Dna trovato su quella macchia corrisponde al profilo genetico della 13enne. Il perito parla di anomalia. Il rebus si complica. E se la prova regina traballa, gli altri accertamenti scientifici hanno già dato ragione alla difesa. Nei peli repertati attorno al cadavere, infatti, non vi è traccia di Bossetti. Mentre nei mezzi del muratore non c’è Dna di Yara. Ancora: computer e cellulari, per ora, hanno svelato solo quella ricerca (fatta su Google) “tredicenni sesso”. Insomma dentro a una domanda s’infila un’altra domanda e così via a ritroso fino al pomeriggio del 16 giugno 2014, quando il ministro dell’Interno Angelino Alfano twitta: “Arrestato l’assassino di Yara”. Bastano pochi minuti e il nome del muratore di Mapello fa il giro d’Italia.
Lui è il killer. Individuato a quasi quattro anni dal delitto. Il clamore dell’arresto, però, non cancella gli insuccessi precedenti, quando la Procura di Bergamo, sulla base di un’intercettazione mal tradotta, arresta il marocchino Mohamed Fikri. L’assassino non è lui. Prima della conferma i cani molecolari, fiutando una traccia di Yara davanti alla palestra di Brembate da dove scomparve il 26 novembre 2010, portano al cantiere di Mapello. Qui lavorò Fikri. Ma Fikri è innocente e lì Bossetti non si è mai visto.
In quel momento il Ros di Brescia si concentrano sul Dna di Ignoto 1. Si arriva a Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1996. Il Dna corrisponde ma solo in parte. L’ipotesi è che l’autista abbia avuto un figlio illegittimo. Si arriva a Ester Arzuffi sposata con Giovanni Bossetti e che ebbe due figli gemelli dalla relazione clandestina con Guerinoni. Il Dna della donna corrisponde a Ignoto 1. Uno dei figli illegittimi è il carpentiere di Mapello al quale, due giorni prima dell’arresto, viene prelevato un campione di Dna con un controllo all’alcol test. Il match tra il codice di Bossetti e quello di Ignoto coincide al 99,9 per cento. Questo fu detto. Oggi scopriamo che non è così. Chiuso il cerchio genetico, dal 16 giugno 2014 iniziano gli accertamenti. I video sono decisivi: l’obiettivo è capire se l’Iveco Daily di Bossetti è stato ripreso attorno alla palestra di Brembate. Il camioncino del carpentiere, sostengono i Ros, ha modifiche che lo rendono riconoscibile: si punta su un catarifrangente rosso. Anche qui il risultato è incerto: dopo aver escluso centinaia di mezzi, i carabinieri confermano che nel giorno della scomparsa il mezzo di Bossetti fu avvistato in zona. A bordo però non è mai stato riconosciuto il muratore. E ancora: telefoni e celle. Alle 16,45 del 26 novembre il cellulare di Bossetti aggancia la cella di Mapello. Alle 18,05 il telefonino di Yara si trova in una posizione opposta. Non meno contraddittorie le testimonianze. Come quella del fratellino della 13enne che parla di aver notato un uomo grasso col pizzetto fissare Yara. Bossetti più che magrolino è esile. C’è altro da capire: Yara conosceva il suo assassino? La procura ci punta, Bossetti nega (“Mai vista”). Il rapporto pregresso, però, giustificherebbe il fatto che la ragazza salga spontaneamente sul furgone e senza opporre resistenza arrivi a Chignolo d’Isola, scenda e cammini tranquillamente fino all’aggressione. Ecco, allora, spuntare una donna che oggi, quattro anni dopo, ricorda di aver notato un uomo, che riconosce essere Bossetti, intrattenersi in auto con una ragazza davanti alla palestra. È l’ennesimo tassello. Ma quanto regge? Decideranno i giudici. Intanto Bossetti resta in carcere. Sono passati sette mesi. E il 25 febbraio la Cassazione deciderà se, dopo l’ultima svolta, il carpentiere potrà tornare nella sua casa di Mapello.