la Repubblica, 29 gennaio 2015
I dati discordanti degli economisti sull’Italia: «Sarà un anno record». «No, avremo solo una ripresina da 1%». Export, tassi bassi e risparmi energetici promettono un risultato mai visto da 15 anni. Ma inflazione e rimbalzi delle materie prime sono gli effetti che possono far da freno
Nell’ovattato mondo di chi vive facendo previsioni sull’economia, fra le tabelle dense di statistiche, complesse equazioni che costruiscono i modelli econometrici, confronti più o meno stiracchiati con il passato, qualche valutazione a occhio, un linguaggio circospetto e ampie forchette di possibilità per mettersi al riparo da sorprese, l’effetto è stato quello di un macigno che piomba in un piccolo stagno. Da Prometeia (che renderà note le sue previsioni domani) a Nomisma, da Ref (che ha emesso la sua nota congiunturale l’altro ieri) al Cer (che lo farà fra un paio di giorni) sono rimasti a bocca aperta. Gli stimati professionisti del Centro studi Confindustria che prevedono, senza troppe cautele, anzi, specificando che si tratta di “stime prudenti” che il Pil italiano aumenti del 2,1 per cento nel 2015 e del 2,6 per cento nel 2016? Molte cose sono successe in questo volger d’anno, dal crollo del greggio alla rivoluzione del Quantitative easing alla Banca centrale europea, ma il 2 per cento sarebbe più che un passo record per l’economia italiana. Praticamente, un ritmo inaudito, quasi mai visto: l’ultima volta è stato nel 2000, quindici anni fa. D’altra parte, non era stata la stessa Confindustria, non più tardi di quattro giorni fa, a calcolare, anche considerando l’impatto dell’allentamento monetario a Francoforte, un aumento del Pil contenuto nello 0,8 per cento quest’anno e l’1 per cento nel 2016?
In realtà, Confindustria, a sera, ha corretto il tiro: più che una previsione complessiva, il rapporto mette in fila tutti gli effetti positivi delle novità di queste settimane. Il primo dato è il crollo del prezzo del petrolio. Se dai 108 dollari al barile dei primi otto mesi del 2014 si restasse agli attuali 45 dollari per tutto il 2015, il risparmio per l’Italia sarebbe di 24 miliardi di euro, ovvero l’1,5 per cento del prodotto interno lordo. A questo si aggiunge la spinta cruciale della svalutazione dell’euro, un volano fondamentale per le esportazioni, cruciali in questo momento di bassa domanda interna: verso il dollaro (e lo yuan cinese, altra moneta centrale per l’export) l’euro è sceso di oltre il 18 per cento, di più dell’8 per cento su un paniere più ampio di monete. L’altra spinta è sul fronte del credito. Confindustria prevede che le misure di politica monetaria della Bce portino ad una riduzione dello 0,4 per cento del costo dei prestiti alle aziende. Più in generale, il Qe di Draghi dovrebbe incidere sui tassi reali a lungo termine, quelli che contano per famiglie, imprese e finanza pubblica. I tassi nominali sono scesi, ma con l’inflazione ai minimi termini, quelli reali molto meno. In Italia, valuta il Centro studi Confindustria, sono all’1,2 per cento. Il Quantitative easing, stima lo stesso Centro studi, dovrebbe abbassare i tassi, nella media dell’area euro, di oltre l’1 per cento. Nello sgranare le buone notizie gli econometristi di Viale dell’Astronomia non si fermano qui: il commercio mondiale è vivace, l’attesa del Jobs Act aveva frenato l’occupazione negli ultimi mesi, ma ora dovrebbe ripartire. Infine, le nuove regole sulla flessibilità dell’Unione europea sembrano escludere una nuova manovra di finanza pubblica a primavera.
Sommando tutti questi effetti positivi, Confindustria arriva a calcolare che l’impatto complessivo potrebbe portare ad un aumento del 2,1 per cento del Pil, già quest’anno. Ma questo è un effetto massimo, che non tiene conto dei possibili contraccolpi negativi che possono limitarlo. Il risultato finale Confindustria non lo calcola, ma, probabilmente, non è troppo fuori linea rispetto alle previsioni dei Centri studi concorrenti. Bankitalia, l’altro ieri, aveva fatto sapere che la crescita italiana, già quest’anno, sarà “superiore alle stime precedenti”, ovvero un aumento del Pil dello 0,4 per cento. Secondo i calcoli del Ref, un centro di studi sulla congiuntura, che incorporano anche le decisioni della Bce, il Pil, quest’anno, dovrebbe crescere, in effetti, dello 0,7 per cento e dell’1,1 per cento nel 2016.
Può anche andare leggermente meglio, secondo Sergio Fantacone del Cer. «Noi – dice – prevediamo che il crollo del petrolio abbia un impatto pari allo 0,5 per cento del Pil. Quanto all’export, la svalutazione dell’euro dovrebbe far crescere di 2 punti le nostre esportazioni». Al contrario di Confindustria, tuttavia, il Cer non vede questa vivacità del commercio mondiale e, soprattutto, si preoccupa dei possibili effetti collaterali, che possono erodere parte degli effetti positivi: «Siamo sicuri che il prezzo del petrolio resti dov’è e che questo non incida troppo sulle importazioni dei paesi produttori? E siamo sicuri che le nostre imprese esportatrici non si mangeranno una quota della svalutazione dell’euro, aumentando i prezzi?» Conclusione? «Nel 2015 vediamo un’espansione fra un minimo dello 0,8 per cento fino a sopra l’1 per cento». Dunque, l’effetto netto delle buone notizie del 2015? «Uno 0,5 per cento in più di crescita del Pil, già quest’anno».