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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

Toto-Quirinale: alla vigilia del voto i nomi più quotati sono Finocchiaro, Mattarella, Padoan e Fassino. Berlusconi vuole Amato ma Renzi si oppone. Casini seconda scelta di Forza Italia e Ncd. Napolitano sponsorizza Veltroni? Attenti al colpo di testa del premier che potrebbe tirare fuori dal cilindro Grasso o Cantone

Il meglio dai giornali di oggi sulla corsa per il Quirinale.
 
Silvio Berlusconi diceva di mangiare banane acerbe, perché antiossidanti, Matteo Renzi smentisce di mangiare banane, nel numero di due al giorno. In una giornata confusa, in cui il premier incontra gran parte delle forze parlamentari, dalla Lega ai Popolari, da Forza Italia al partito di Alfano, chi gli sta accanto smentisce sia le ricostruzioni sul profilo del nuovo capo dello Stato che il capo del governo avrebbe tratteggiato agli interlocutori, sia il fatto che per mantenere il ritmo di lavoro di questi giorni mangi, appunto, banane [Marco Galluzzo, Cds].
 
Anna Finocchiaro, Sergio Mattarella, Pier Carlo Padoan e Piero Fassino: i nomi che continuano a circolare, e che gli interlocutori di Renzi attribuiscono a una rosa di gradimento del premier, sono questi. Ma almeno il terzo sarebbe in posizione defilata se è vero quello che hanno compreso quasi tutti gli interlocutori del presidente del Consiglio: un orientamento più deciso verso la figura di politico; lo dice il ministro Stefania Giannini, che rappresenta Scelta civica, lo ripete il ministro Angelino Alfano, anche lui dopo essere stato a colloquio con il capo del governo. Alfano fa anche previsioni: il giorno decisivo è sempre sabato, ma potrebbe essere alla quinta votazione [Marco Galluzzo, Cds].
 
L’attenzione ieri si è concentrata su Finocchiaro, che la Lega sostiene in un’evidente manovra d’interdizione, per tentare cioè di rompere l’asse tra Renzi e Berlusconi [Maria Teresa Meli e Francesco Verderami, Cds].
 
Quel che appare certo è che Renzi si oppone alla candidatura di Giuliano Amato: «Non posso accettare che mi venga imposta la candidatura di Amato sulla quale c’è già l’accordo tra Berlusconi e D’Alema». È il segno che Renzi sta cercando di bloccare un’operazione parallela e ostile al suo disegno [Maria Teresa Meli e Francesco Verderami, Cds].
 
Per il premier Amato è più di un fantasma. È un’ombra che si allunga sul suo futuro. Se è vero che sta diventando il candidato di alcuni suoi “avversari”, più interni che esterni, è vero dunque che al momento giusto un presidente della Repubblica frutto di tale accordo potrebbe tessere una trama alle spalle del suo governo. Basta un inciampo, un braccio di ferro con l’Europa e Amato sarebbe in grado di organizzare un cambio di fase per sostituire l’attuale presidente del Consiglio [Goffredo De Marchis, Rep].
 
Eppure nel faccia a faccia di oggi Berlusconi si appresta a rilanciare su Giuliano Amato. Con l’outsider Pier Ferdinando Casini in seconda battuta. Ieri al Senato in 18 forzisti, dopo aver incontrato Raffaele Fitto, hanno rotto col resto del gruppo e sono usciti dall’aula in dissenso sull’Italicum. E ora? Rompete le righe anche sul Quirinale? Coi suoi il capocorrente pugliese, che in serata ha visto anche i deputati, è schietto: «Di certo, Berlusconi può scordarsi questa quarantina di voti se pensa di comunicarci il nome via sms sabato mattina». Ormai, sostiene Augusto Minzolini, il leader si può salvare «solo se riesce a strappare Amato o Casini, qualsiasi altro nome sarà un’imposizione di Renzi e lui ne uscirà sconfitto» [Carmelo Lopapa, Rep].
 
Non è chiaro in che modo il premier pensi di trovare un’intesa con il leader di Forza Italia, che da giorni gli fa sapere di essere indisponibile a votare per un candidato di area Pci—Pds—Ds-Pd. Dopo aver sostenuto le riforme e la legge elettorale, Berlusconi chiede un dividendo politico sul nome del prossimo capo dello Stato e non gradisce la lista che gli viene offerta [Maria Teresa Meli e Francesco Verderami, Cds].
 
Fa perno su un altro giudice costituzionale: anziché Amato, Renzi punta semmai su Mattarella. Ragiona a voce alta un ministro che peserà nella conta dei voti: «Serve una figura con una storia e un’esperienza che lo mettano in grado di superare indenne gli stress test del Quirinale». Il premier sa che l’anima democristiana sarebbe tutta con lui, che la «ditta» bersaniana non avrebbe da obiettare e perfino la sinistra di Sel (con propaggini grilline) sarebbe disposta a convergere su Mattarella. In Transatlantico sono stati visti confabulare in crocchio Franceschini, Fioroni, Enrico Letta e la Bindi: segno che il ferro è rovente. «Se si sceglie bene, alla quarta votazione il candidato passa alla grande, altrimenti per noi cattolici si ricomincia dalla sesta», scherza ma non troppo Fioroni [Carlo Bertini e Ugo Magri, Sta].
 
Pierluigi Bersani ha in mente una griglia di candidature: nella prima fascia si trovano Amato e Mattarella, ai quali darebbe il proprio consenso; nella seconda fascia ci sono i vari esponenti del Pd, che – in competizione tra loro – rischierebbero di dividere ulteriormente il partito; nell’ultima fascia c’è Pier Carlo Padoan, contro cui la minoranza interna esprimerebbe un pubblico dissenso, con effetti drammatici nella «ditta» [Maria Teresa Meli e Francesco Verderami, Cds].
 
Un secondo blocco di nomi su cui sta ragionando Renzi mette insieme Piero Fassino e Graziano Delrio, due dirigenti del Pd in carica, mentre Veltroni, a Palazzo Chigi, viene descritto come un nome con poche chance. Il premier, non a caso, vedrà il sindaco di Torino oggi, tra Berlusconi e Bersani. Con Delrio non c’è bisogno di appuntamenti perché sono a contatto tutti i giorni [Goffredo De Marchis, Rep].
 
Piero Fassino è arrivato ieri sera a Roma, con una valigia carica di vestiti. Oggi andrà al Nazareno. Possibilità? “Ha un pessimo carattere”, ricordano i renziani [Wanda Marra, Fat].
 
Il Cile non è proprio dietro l’angolo ma per fortuna hanno inventato il telefono. Così l’altro giorno, quando Giorgio Napolitano l’ha chiamato, Walter Veltroni ha capito che era ora di tornare a casa. «Ti conviene abbreviare il viaggio – gli ha spiegato l’ex presidente – devi arrivare il prima possibile, al massimo giovedì». Ovviamente Veltroni gli ha subito dato retta. Del resto, lì dall’altra parte del mondo, aveva già fatto tutto: la visita alla casa di Nedura, l’incontro con la Bachelet, la proiezione del suo film su Berlinguer. L’ultima volta, nel 2013, Romano Prodi fu impallinato dai 101 mentre si trovava in Africa, si addormentò presidente e si sveglio pensionato. Meglio non ripetere l’errore, gli assenti hanno sempre torto [Massimiliano Scafi, Grn].
 
Se infatti il nuovo presidente dovrà essere un personaggio del Pd, Veltroni è in prima fila. Abbastanza renziano, votabile dalla minoranza, potabile pure dal centrodestra: non fa parte del governo come altri candidati tipo Delrio e Gentiloni, non è mai stato ferocemente antiberlusconiano, non è un tecnico, anzi, nonostante si sia fatto parte dopo aver lasciato la segreteria, non ha mai rinnegato «la passione» [Massimiliano Scafi, Grn].
 
Sullo sfondo c’è poi Graziano Delrio, che per molti resta la vera carta coperta del premier. Rientrerebbe in un gioco di accordi, che vedono la Boschi al suo posto a Palazzo Chigi, Ettore Rosato, luogotenente di Franceschini, al ministero delle Riforme, Valentina Paris, in ascesa nei Giovani Turchi, al posto della Lanzetta, al ministero degli Affari regionali. Ma non è un nome che Renzi può spendere con facilità. Troppo “renzino”, anche se B. dice di sì. Allora, alla quarta, quinta votazione, potrebbe arrivare pure Veltroni: “Matteo il suo nome non lo fa girare. È un modo per non bruciarlo”, spiega un fedelissimo del premier [Wanda Marra, Fat].
 
Ma secondo molti renziani, la prima scelta del premier sarebbe l’ex capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro. Perché piace a Silvio Berlusconi, perché ha esperienza politico-istituzionale e porterebbe in dote il marchio della Ditta (è ex Pci, ex Ds) caro a Pier Luigi Bersani. E, cosa non da poco, permetterebbe a Renzi di passare alla storia «come il primo ad aver portato al Quirinale una donna» [Alberto Gentili, Mes].
 
Certo, se sabato non arriverà la fumata bianca, «allora in quel caso potrei fare una “renzata”», va minacciando il premier. Potrebbe quindi estrarre dal cilindro personalità come Pietro Grasso, presidente del Senato, o il capogruppo Luigi Zanda. Oppure capaci di spiazzare l’opinione pubblica. Tipo Raffaele Cantone, «il censore» anti-corruzione [Carlo Bertini e Ugo Magri, Sta].