Il Messaggero, 28 gennaio 2015
2.200 chilometri con una sola gamba. Roberto Bruzzone, 36 anni, piemontese, che dopo l’amputazione dell’arto destro a seguito di un incidente di moto ha deciso di fare del camminare la propria ragione di vita
Lima, l’alba di domenica scorsa, ore 4,50. «Dopo aver passato la maggior parte della notte sul muretto di un distributore siamo stati svegliati dalla pioggia e ci siamo riparati sotto una piccola tettoia di un baracchino che fa da mangiare. Sta aprendo ora e gentilmente ci lasciano qui al riparo. Mi sono reso conto che lo zaino è troppo pesante, dovrò scremare ancora il carico. Ci muoviamo presto per avere del fresco nelle prime ore...». Scrive Roberto Bruzzone, un uomo grande grande di 36 anni barba e codino, piemontese, di professione camminatore e scalatore di montagne in tutto il mondo. Con una gamba sola.
L’altra gamba, dal ginocchio in giù, gliel’hanno tagliata dopo un incidente di moto. È stato lo stesso Roberto a decidere quel taglio. Portato al pronto soccorso i chirurghi gli comunicano che i suoi arti sono gravemente compromessi. Il piede destro non è più un piede. Tre anni in ospedale. Prima l’amputazione delle dita, poi l’intervento sull’avampiede. Entra e esce dalla sala operatoria ma i risultati fanno solo lievitare il dramma. Impossibile passeggiare, impossibile vincere le fitte lancinanti. Quella parte del corpo così mutilata diventa un incubo. Quattro anni di inferno: riabilitazione, altri interventi, dolori. «Io non volevo camminare ma correre». Non ci riesce, la sua gamba e il suo piede lo fanno sentire un invalido. Così, contro tutto e contro tutti, decide per l’amputazione. «Per avere una vita normale e non sentire più i dolori».
LA VITA QUOTIDIANA
Non solo il piede, dunque, il bisturi sale fin sotto il ginocchio. Per essere certi di poter indossare una protesi già collaudata e adattabile alla sua voglia di andare, di rinascere, di riaffrontare la vita. Così come si è ripreso e ha cominciato a mettere un piede davanti all’altro, ha deciso di fare, proprio del cammino, la sua ragione di vita. La sua forza fisica e mentale. Il bisturi lo ha liberato dalla schiavitù di sedativi e morfina, la ha fatto sentire “normale”, lo ha fatto volare.
«Il primo traguardo – dice – è mettersi la protesi e vivere il quotidiano: andare a lavorare, uscire con gli amici, andare a ballare. Ho cominciato a camminare quando ho perso la gamba...». Lo scorso fine settimana è iniziata la sua ennesima avventura: il suo team, il “Robydamatti” (www.robydamatti.it), è partito da Lima, Perù, per raggiungere la Bolivia. Circa 2200 chilometri (ovviamente tutto a piedi), ascese fino a 5.200 metri, 4-5 mesi il tempo previsto per l’impresa, 20 km al giorno attraverso tutti i siti archeologici del Perù meridionale e della Bolivia settentrionale. Dalla catena andina a Machu Picchu, dal Lago Titicaca a Tiwanaku città precolombiana. In totale autogestione, tutto nello zaino.
LA PREPARAZIONE
Otto giorni a Lima e sabato scorso la partenza. Un solo grande nemico, il caldo. O meglio, l’escursione termica. Di giorno fa caldissimo – scrive – e poi la sera fa fresco e tira aria. Tanto da costringerlo a mettersi in marcia con un poderoso raffreddore.
«Dopo l’amputazione mi sono risollevato, in tempi relativamente brevi, grazie allo sport. Prima con l’atletica poi, grazie al sostegno della Otto Bock azienda bolognese che costruisce protesi e mi sponsorizza, ho deciso di accettare la sfida. Quella del trekking. È con il mio preparatore atletico Alessio Alfier che ho scoperto la mia vocazione per la montagna e i grandi spazi. Ricordiamoci che con la testa possiamo fare qualsiasi cosa. Mettendoci sempre alla prova».
La tragedia diventa forza, progetto, marcia, l’associazione “Naturabile” (una onlus nata per trasmettere la passione per la montagna) e l’ironia. Si è autodefinito «camminatore con la gamba in spalla», in onore alla protesi di riserva che porta sempre nello zaino. Lassù, sulle vette. Sul Gran Paradiso, due ascese in 4 ore e mezza, e sul Kilimanjaro. Ma anche durante il cammino di Santiago de Compostela (781 km in 26 giorni), la traversata della Corsica in 22 giorni e nel deserto del Namib in Nabimia. «La soddisfazione di arrivare in cima e sapere che ho avuto la forza e la volontà di farlo – confessa – non sarebbe nulla senza le lacrime, il sudore, la fatica fisica e mentale, le piaghe sul moncone necessari per arrivarci».