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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

No Tav, 47 condanne per gli attivisti che nel 2011 assaltarono i cantieri in Valsusa. In tutto i giudici hanno inflitto 145 anni e 7 mesi di reclusione, con pene che oscillano da 250 euro a 4 anni e 6 mesi. Ieri centinaia di manifestanti hanno sfilato contro la sentenza. Occupata l’A32

Lesioni, danneggiamento, violenza a pubblico ufficiale: il tribunale di Torino ha inflitto a 47 attivisti del movimento che si oppone all’alta velocità 145 anni e 7 mesi di reclusione, con pene che oscillano tra 250 euro di multa e i 4 anni e 6 mesi che dovrà scontare Paolo Maurizio Ferrari, Mau il rosso, modenese, 69 anni, tra i fondatori delle Brigate Rosse, trent’anni di carcere alle spalle senza mai dissociarsi né pentirsi. Il primo brigatista a finire in cella e l’ultimo a uscire; uno dei tre imputati in questo processo ad aver rinunciato all’avvocato difensore. Nel mezzo ci sono scampoli della galassia che compone il movimento No Tav: dagli anarchici del Nord Est, ai leader dell’autonomia torinesi, intellettuali, antagonisti arrivati dall’estero e anche cinque residenti in Valsusa.
L’assalto
Il 27 giugno 2011, alle prime luci dell’alba, duemila poliziotti, carabinieri e finanzieri sgomberano il presidio con cui il movimento No Tav voleva difendere l’area su cui di lì a poco sorgerà il cantiere della Torino-Lione. Sei giorni dopo, il 3 luglio, gli oppositori al super treno si ritrovano in Valsusa. È una manifestazione imponente: ci sono i sindaci, le famiglie della valle, i simpatizzanti, ma anche duemila persone che si staccano e convergono sul lato forse più debole delle recinzioni, per provare ad assaltarlo. Sei ore di battaglia lasciano sul campo 4 mila lacrimogeni, 234 feriti tra le forze dell’ordine, qualche decina tra i manifestanti. A scontri finiti in Valsusa arriva anche Beppe Grillo: «State facendo una rivoluzione straordinaria, siete tutti eroi».
«Paramilitare»
La sentenza letta dal giudice Quinto Bosio sposa sostanzialmente le richieste della procura, rappresentata dai pm Manuela Pedrotta, Nicoletta Quaglino e Andrea Beconi, che aveva chiesto la condanna di 53 persone a 193 anni di reclusione con pene fino a sei anni. Secondo i magistrati in quelle giornate una parte del movimento ha fronteggiato le forze dell’ordine con un’organizzazione paramilitare e una strategia unica: impedire l’accesso all’area e, una volta persa, tentare di riprenderla forzando le recinzioni e attaccando divise e operai con lanci di pietre, bombe carta, bulloni, bengala. Tutto ripreso da decine di telecamere. Quelle immagini, analizzate nei dettagli, sono servite per individuare i 53 attivisti finiti a processo. Un lavoro cui le difese si sono opposte, contestando le identificazioni e accusando le forze dell’ordine di comportamenti scorretti e violenze sugli arrestati. «Una sentenza già scritta», spiega l’avvocato Roberto Lamacchia. «L’entità delle pene non ha alcun senso se non fosse che parliamo dell’alta velocità». «Condanne spropositate e provvisionali assurde in totale assenza di prove», aggiunge l’avvocato Gianluca Vitale.
Sui 47 condannati ricade infatti anche il peso di 142 mila euro da versare alle parti civili come acconto in attesa che si definisca l’entità del risarcimento in sede civile, oltre al pagamento di tutte le spese processuali. Agli agenti feriti andranno per ora 43 mila euro, ai ministeri degli Interni e della Difesa 93 mila. Anche ai sindacati di polizia viene riconosciuto un risarcimento, ed è la prima volta che accade. «È la prova che non sono state condannate le opinioni o il dissenso ma specifici comportamenti illeciti, come dimostra il dispositivo della sentenza, che denota un enorme sforzo nel differenziare le singole posizioni degli imputati», commenta l’avvocato Anna Ronfani, parte civile per Ltf, la società italo-francese che gestisce il cantiere di Chiomonte. Per il ministro dei Trasporti Lupi «è una sentenza che fa giustizia anche di tante coperture politiche e intellettuali di quelle violenze».
Bella ciao
Alla lettura delle condanne il pubblico ha intonato «Bella Ciao», mentre gli imputati hanno letto una dichiarazione: «È un processo politico». Per il movimento è un colpo pesante. «Questa sentenza sa più di vendetta che di giustizia», dice Alberto Perino, leader del movimento, che nei giorni scorsi – insieme con due valsusini – è stato costretto a pagare a Ltf un risarcimento di 200 mila euro per aver impedito un sondaggio a Susa nel 2010.