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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

«Qui, tra maiali e canguri, alla fine il Parlamento è andato in vacca!». Intanto si compilano le liste dei cattivi e si fa la conta dei gufi. A due giorni dalle elezioni, l’aula ha in testa solo il Colle

Va bene, c’è uno Zoggia piuttosto forte sugli appunti. Non si capisce quanto siano puri, questi bersaniani, certo continuano a fare i duri.
Ma le minacciose dichiarazioni di Davide Zoggia sull’elezione del nuovo capo dello Stato, le mettiamo in ordine più tardi.
Montecitorio, Transatlantico, buvette.
Che ora è?
Sono le 16, forse è il caso di avviarsi verso il Senato, dove stanno per approvare la nuova legge elettorale. Il tempo di arrivare sul portone e arriva però la notizia che Silvio Berlusconi non parteciperà all’incontro tra Matteo Renzi e la delegazione di Forza Italia nella sede del Pd. Vanno solo i capigruppo, Renato Brunetta e Paolo Romani.
Non sarà facile avvertire Brunetta.
Occorre un certo tatto.
Romani è un uomo di mondo, un politico che sa come va la politica. Brunetta, già da qualche giorno, è invece furioso: l’idea che per rinnovare gli accordi di base del celebre patto del Nazareno e stabilire chi possa essere il nuovo presidente della Repubblica, definire qualche candidatura più solida di altre e insomma trattare in nome e per conto del premier e del Cavaliere fossero al lavoro soltanto i potenti Luca Lotti e Denis Verdini, solo e soltanto loro due, lo ha mandato fuori dai gangheri (una mattina, a Palazzo Grazioli, Verdini ha perso la pazienza e ha cercato di prendere al collo Brunetta, che s’è fortunatamente scansato con uno scatto, facendogli mancare la presa).
Comunque, davvero: adesso è meglio andare subito al Senato. Tanto questa è una giornata che va così: bisogna camminare, controllare, tornare indietro. Da Montecitorio a Palazzo Madama, passando per la sede del Pd, e fare il percorso inverso.
Ecco, Palazzo Madama.
In aula, c’è uno spettacolare Roberto Calderoli. Il gran capo dei leghisti parla e davanti tiene un mucchio di faldoni.
«Chiamatelo pure come volete: Italicum, Espositum, Stronzellum, come volgarmente l’ho visto definire su un sito...» (gran risate nell’emiciclo).
«Però, comunque lo si voglia chiamare, leggendolo si capisce subito che appartiene alla specie dei suini e, quindi, del maiale...».
«Perciò non è un Porcellum ma un super Porcellum, che fa pure balzi come un canguro, grazie al quale approviamo gli emendamenti... Solo che qui, tra maiali e canguri, alla fine il Parlamento è andato in vacca!».
Qualche applauso. Poi s’alza Lucrezia Ricchiuti, minoranza pd. E vanno via i sorrisi. «È la gufa che vi parla...» (Renzi definisce «gufi» tutti coloro che sono scettici o che cercano di ostacolare l’attività del governo). Dopo la gufa, Corradino Mineo. E poi Miguel Gotor, il capo dei ribelli. E anche lui, come gli altri, annuncia che non parteciperà al voto.
Alla fine – secondo calcoli che Lotti in persona ha preteso si facessero, per avere aggiornata la lista dei «cattivi» – saranno 24 i senatori del Pd a uscire dall’aula. La legge, dopo qualche minuto di tensione (il testo finale conteneva una paginetta piena di cosette mai approvate: se ne è accorto Calderoli, ovviamente) passa: 184 sì, 66 contrari, 2 astenuti.
Renzi è avvertito con un sms.
Lo riceve nella sede del Pd.
Sta lì, dal mattino, ad incontrare le delegazioni dei partiti.
La stradina è stata transennata, qualche baruffa, una fotografa è stata trattata da un agente del reparto mobile come una pericolosa criminale (identificata, subito rilasciata con tante scuse).
Quasi nessuno dei fotografi aveva riconosciuto la delegazione di Scelta civica.
Quelli di Ncd sono arrivati con il passo, e gli sguardi, che si usa ancora in certi funerali al Sud (Alfano, Quagliariello, poco dietro la De Girolamo).
Matteo Salvini si presenta vestito come per andare allo stadio. Ironico, sprezzante. «Sto andando a sentire il messia...» (e deve sembrargli una gran battuta, perché ridacchia di gusto). «No, dai: sono venuto per pura educazione...».
Pippo Civati compare con il suo solito passo studiato da acchiappo-telecamere, plaf plaf, piano piano, lento lento, eccomi, sono qui, sono finalmente qui anche io: per caso qualcuno di voi ha voglia di farmi una domanda?
Gira voce che Renzi, in serata, riceverà anche gli ultimi dieci parlamentari in fuga dal M5S (nove deputati e un senatore). Per commentare il tradimento, Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, ha smarrito il suo tradizionale stile, e li ha definiti «un gruppo di venduti» (vale la pena ricordare – e non è un modo di dire – che tra loro c’è anche il deputato Samuele Segoni, un ex precario della ricerca all’università di Firenze con il codino e i sandali noto solo per essersi esibito, durante un discorso in aula, in un gestaccio tra i più volgari concepiti dalla mente umana).
Non c’è altro.
Anzi, no: c’è da rileggere il colloquio con Davide Zoggia, uno dei bersaniani più tosti.
«Renzi, due giorni fa, ci ha detto che nelle prime tre votazioni andremo con scheda bianca: a parte che la Costituzione ci obbliga a trovare una larga convergenza già dal voto iniziale, perché ci ha dato questi ordini prima di consultare i partiti? Dobbiamo pensare che abbia deciso già tutto con Berlusconi? No, perché, vede: se alla vigilia della quarta votazione, sabato mattina, salta fuori un nome secco, beh, sa... O è un nome che ci piace, oppure si mette male. Non se la ricordano la lezione del 2013?».
Per stasera, davvero, mi sa che può bastare.