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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

Il pallottoliere di Renzi per il Quirinale. Il premier deve calcolare le forze dei partiti tenendo conto degli umori, delle simpatie e delle antipatie che ogni candidato può catalizzare. Ma con Bersani, Berlusconi e i dissidenti dell’M5S la matematica diventa un’opinione. Almeno in politica

Con il predestinato al Quirinale ancora avvolto nel mistero, ragionar di numeri è impresa a dir poco ardua. Eppure tra Palazzo Chigi e Parlamento il pallottoliere ruota vorticosamente e misura la fedeltà (presunta) dei grandi elettori. Il problema, per Renzi, è che in politica la matematica è un’opinione, quando il voto è segreto. Ecco perché alla vigilia del primo test gli addetti ai conteggi hanno riposto i file e preso in mano i sottofile: i primi servono a catalogare la forza di partiti e correnti, i secondi a registrare gli umori dentro le singole aree e persino il grado di simpatia o antipatia che un candidato può catalizzare.
Un deputato del Pd, sotto anonimato, la spiega con un esempio un po’ tranchant: «Se chiedete a un mio collega renziano, che era stato veltroniano, di votare per Walter, lui lo farà con piacere. Se invece gli domandate di scrivere sulla scheda Fassino, lui se ne guarderà bene». Sulla carta il leader del Pd ha in tasca 445 voti, ma dei 25 delegati regionali dem una decina rispondo alla minoranza. Il primo enigma è dunque dentro il Pd: quanto è mobile la trincea dei potenziali franchi tiratori? Premesso che tutto dipende dal nome, la forbice oscilla paurosamente tra quota 40 e quota 130.
Il teorema più ottimista dice che «un nome proposto da Renzi e votabile da Forza Italia, che non sia ostile alla minoranza dem, al quarto scrutinio può raccogliere tra i 390 e i 400 voti». Un potenziale che, sommato ai 142 di Forza Italia e ai 78 di Per l’Italia (Ncd più Udc), metterebbe nelle mani di Renzi 620 voti. Togliendo tutti i 35 dissidenti di Fitto si scenderebbe a 585: sempre più dei 505 che occorrono per eleggere a maggioranza semplice un presidente del calibro di Amato, ritenuto «potabile» dalla parte più dialogante della minoranza dem.
Anche qui, però, gli ostacoli non mancano. Gaetano Quagliariello sostiene che i voti di Alfano e Casini «non arrivano a scatola chiusa» e che «tutto può succedere». Una formula per dire a Renzi e Berlusconi che, se pensano di farcela da soli, rischiano grosso: «Il premier deve avere oltre al Pd renziano almeno due componenti della maggioranza che vota le riforme» tra minoranza dem, Forza Italia e Area popolare. Se invece il nome proposto da Renzi fosse espressione del Patto del Nazareno e venisse ritenuto da Bersani, Cuperlo e compagni al di sotto dell’asticella di «autorevolezza, indipendenza e autonomia dal governo», le cose si complicherebbero assai. Nell’Area riformista che fa capo a Speranza stimano infatti una possibile fronda di 120/130 grandi elettori il cui voto è ritenuto a rischio e uno zoccolo duro di circa 40 irriducibili. «Un candidato di Palazzo Chigi, ad esempio Delrio, farebbe saltare tutti i voti della minoranza», spiega un senatore dissidente. Fassino? «Ne farebbe saltare un bel po’». La Finocchiaro? «Ne terrebbe buona parte».
Qualora dal menù del Nazareno spuntasse un nome ritenuto da Bersani «una minestra non commestibile», dall’insalatiera di vimini verrebbero via parecchi voti, che Renzi potrebbe sostituire pescando qualcosa tra i 33 fuoriusciti grillini. Ma la compagine non è omogenea e il senatore Francesco Campanella si mostra incerto: «Se voteremo il candidato di Renzi? La tendenza è no, a meno che non sia autorevole e autonomo». Restano da conquistare i grandi elettori della terra di mezzo, anche se la galassia centrista che non si riconosce nel tandem Alfano-Casini procede in ordine sparso. «Siamo 13 fra deputati e senatori e ciascuno vota per sé – conferma Bruno Tabacci, Per l’Italia —. Non c’è un pacchetto di voti, tutto dipende dal nome». Per Pino Pisicchio (Centro democratico), Renzi non corre rischi: «Non mi pare che si vada verso il conflitto a fuoco, a meno che non si intorbidiscano le acque all’interno del Pd». E se le acque dovessero intorbidirsi al di fuori? Renzi si troverebbe davanti un sentiero stretto, tracciato da un candidato ritenuto inaccettabile da Berlusconi e votabile da tutto il Pd, più Sel, fuoriusciti del M5S e parlamentari sparsi. Con numeri a dir poco risicati.