il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2015
Il nostro futuro sarà segnato dai droni, peccato che al momento in Italia sia quasi illegale farli volare. Analisi di un settore in enorme sviluppo: centinaia di aziende e persone hanno fatto richiesta ma la burocrazia rende impossibile avere i permessi
Tutti vogliono far volare i droni, ma nessuno ne è capace. Ho conosciuto fotografi che hanno colpito la sposa mentre usciva dalla chiesa o ferito gli invitati”. Antonio Cucci-niello ha 39 anni ed è un fotografo. Copre la cronaca per un quotidiano della Campania e un anno fa ha deciso di acquistare un drone con una fotocamera. Riprese aeree per feste, servizi fotografici per le cerimonie. “Poi l’Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, ha regolamentato il settore e ho smesso”. Un servizio è pagato tra i 300 e i 1.000 euro. “Oggi mi limito a fare rilievi e fotogrammetrie dei terreni, volando su luoghi dove non ci sono persone. In pochi minuti scatto le foto e porto a casa qualche centinaio di euro. Un risparmio per gli architetti: ha idea di quanto costava, prima, fare lo stesso usando un elicottero?”
Un business volante che vale 7 miliardi
Il mercato globale dei droni, civili e militari, vale 7 miliardi di dollari. Il comparto civile ha due diramazioni: gli aeromodelli, con finalità ludiche e sportive che, indipendentemente da peso e dimensioni, non sono soggetti a regole. E gli aeromobili, il cui uso produce guadagno e genera mercato. Secondo le stime di Asd Reports, specializzato in analisi nel campo dell’aviazione, nel 2021 i droni avranno un giro d’affari di 130 miliardi di euro. In Europa, più di 400 imprese basano il loro mercato su questa tecnologia mentre l’Italia si divide tra piccole realtà territoriali e grandi industrie, come Alenia Aermacchi (Finmeccanica), che si è unita alla tedesca Cassidian e alla francese Dassault Aviation per sviluppare un drone da ricognizione. E come la Skyrobotic Srl di Narni che produce e sviluppa droni professionali in una struttura di 1.200 metri quadrati, è quotata in borsa e nel 2014 ha prodotto ricavi per 33,7 milioni di euro e un utile netto di 5,7 milioni di euro. È la società a cui sono state affidate le riprese del cantiere dell’Expo di Milano. Una spiegazione delle dinamiche di questo mercato è stata da fornita da Siim Kallas, commissario europeo ai Trasporti: “I droni per l’uso civile possono rilevare i danni alle infrastrutture, monitorare le catastrofi naturali e irrorare le colture. Potrebbero addirittura recapitare a casa i libri della vostra libreria online preferita. La tecnologia dei droni per l’uso civile – ha spiegato Kallas – sta raggiungendo la maturità c’è un significativo potenziale di occupazione. Nei prossimi 10 anni potrebbe rappresentare il 10% del mercato dell’aviazione, 15 miliardi di euro l’anno”.
Fatturato è sprint: il caso di Italdron
In Italia, il mercato dei droni è più esteso di quanto indichino i pochi dati esistenti. “Per capire la velocità con cui cresce, basti pensare a quanto ci siamo ampliati negli ultimi sei mesi, nonostante fossimo nati tre anni fa. Fatturiamo più di 300mila euro e abbiamo nove dipendenti di età compresa tra i 22 e i 40 anni. Siamo nati come una start-up con un investimento di poche migliaia di euro”. A Ravenna c’è un’azienda nata da un’idea. A raccontarla al Fatto è il suo direttore, Tommaso Solfrini. L’azienda si chiama Italdron ed è stata creata da tre giovani: uno specialista di elettronica, uno di meccanica e uno di marketing. Nella parte anteriore ci sono gli uffici. Dietro, i laboratori dove si lavora sui droni con stampanti 3d e frese. “Non abbiamo ancora una produzione industriale – spiega Solfrini – ogni esemplare è unico, un pezzo di artigianato digitale”. Italdron produce solo alcune delle componenti. Altre vengono dalla Cina “dove si possono trovare pezzi di alta qualità, ma anche elementi di bassissima lega. Si riduce il prezzo e si riduce la sicurezza del volo”. In Italia non c’è un indotto. Le aziende hanno chiuso.
Il cielo del futuro somiglia alla fantascienza
“Si può immaginare che tra dieci anni i cieli saranno pieni di droni. Voleranno contemporaneamente e il loro valore dipenderà dai servizi che offriranno”. Carmine Cifaldi, direttore della Regolazione Navigabilità dell’Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) conferma l’espansione del mercato dronistico italiano. “Molti problemi devono essere affrontati con le autorità: sicurezza, privacy e security. Con un drone si può fare spionaggio o trasportare un esplosivo. Si può invadere lo spazio aereo e interferire con i voli civili. Ma questa è un’altra storia, che coinvolge le forze dell’ordine”. Cifaldi spiega che, da aprile 2014, sono state accolte 30 domande per operare e nate più di 80 scuole per diventare piloti di droni. Inoltre le assicurazioni hanno elaborato specifici pacchetti. “Forse qui all’Enac siamo pochi, ma speriamo che di fronte al positivo sviluppo del mercato lo Stato ci dia la possibilità di riaprire le assunzioni”. Il regolamento Enac è entrato in vigore da sette mesi, per gestire quella che l’ente aveva definito una “zona grigia che sfociava nell’illegalità” di professionisti senza alcun controllo. “Prima bastava comprare il drone. Oggi invece si è tutto complicato – spiega Andrea, mentre fa volare il suo drone su via del Corso, a Roma, tra il pubblico che lo guarda incuriosito – Per fare business bisogna prendere un patentino e avere l’autorizzazione a volare. Poi compilare un manuale di volo ogni volta che si usa un drone. Ogni mezzo deve essere certificato dall’Enac e si deve distinguere tra due tipi di operazioni, quelle su aree non critiche e quelle su aree che lo sono. Ovvero quelle su zone disabitate come i campi agricoli e quelle dove invece ci sono soggetti che possono essere danneggiati. Come questa. E avere quest’ultimo tipo di autorizzazione è quasi impossibile”. Bisogna poi avere un’assicurazione che all’inizio costava anche 2mila euro l’anno, oggi 500 euro. Per ottenere la certificazione per ogni drone si deve seguire un iter che l’Enac può impiegare anche mesi a completare. “Si paga in base al tempo di analisi. È uno sfinimento e i funzionari sono pochi. Preferisco continuare a lavorare senza mettermi in regola. Tanto, nessun vigile urbano mi dirà di non farlo volare sulla testa della gente. Spesso non sanno neanche cosa sia”. Le richieste ufficiali arrivate all’Enac sono circa 300. Cento le imprese che hanno ricevuto la licenza per il lavoro aereo. “Se ognuna avesse acquistato in Italia almeno un drone del valore medio di 5mila euro – spiega al Fatto un addetto del settore – si muoverebbe un volume d’affari pari a 450mila euro”. Aziende e operatori, però, sono tutti concordi: per ogni operatore che si mette in regola, ce ne sono dieci che guadagnano nell’illegalità. “I soggetti che lavorano con i droni, in realtà, sono almeno 4mila – spiegano – e fanno lievitare questa proiezione a un movimento economico di circa 20 milioni di euro”.
L’agricoltura d’ora in poi: sarà aerea e biologica
Per sopravvivere, piccole e medie imprese uniscono le loro forze. “Stiamo creando un sodalizio commerciale: un’impresa certificata che produce droni, una che fornisce materiali e una che gestisce la formazione di piloti. Noi offriamo il servizio”. Così la Adron, che in un solo anno di vita fatturerà più di 300mila euro (a fronte di un investimento di 20mila euro per due droni), resiste ai vincoli dell’Enac, ma frammenta gli affari. Michele Picili e Omar Camerin, 29 anni, un anno fa hanno unito la passione per l’agricoltura e quella per l’elettronica e in una cantina hanno inventato un business per salvare le coltivazioni di granturco del Friuli Venezia Giulia. I loro droni sorvolano i campi e distribuiscono speciali involucri di cellulosa con uova di trichogramma brassicae, un insetto capace di uccidere la piralide, un parassita che infesta i campi. “Ci sono solo due modi per eliminarlo – raccontano – la disinfestazione chimica oppure il trichogramma, biologico. Se prima doveva essere distribuito a mano nel campo, tra piante alte e rigide, adesso può essere gestito più facilmente. Anche su quattromila ettari di campo, come quello che tratteremo nei prossimi mesi e che, da solo, ci frutterà 200mila euro”.
Il laboratorio di Scampia: sociale e ecologico, ma in crisi
A Secondigliano, nel garage di una casa di Scampia con pannelli solari sul tetto, c’è il laboratorio di Air Mo-vie Lab. Nicola Formicola ha 28 anni ed è il project manager di questa nuova azienda. L’idea di costruire e lavorare con i droni è nata cinque anni fa in quello stesso garage. “Lavoravo nel settore dell’audiovisivo e avevo un amico con l’hobby del modellismo. Costruiva aerei telecomandati e gli chiesi se era possibile mettere una telecamera su un aereo”. Domenico Pagliaro impiegò un anno per sviluppare l’idea, informandosi tramite siti web, blog e forum. “Realizzammo il prototipo per riprendere le nostre arrampicate. Abbiamo unito la passione per lo sport e la tecnologia e abbiamo scoperto i droni”. Nonostante il mercato sia in crescita, non è facile lavorare. Nicola perfeziona il drone, lo brevetta, lo rende ecologico con una struttura in legno. Viene contattato da una casa di produzione indiana per girare un film. Il service sembra avviato. Almeno fino ad aprile del 2014, quando Air Movie Lab si ferma con l’emissione del nuovo regolamento. “La soluzione migliore per noi – ha spiegato Nicola – è stata vendere i droni in kit, in modo che la responsabilità civile in caso di danni fosse del costruttore. Li diamo in comodato d’uso e in cambio chiediamo agli operatori di procurarsi le licenze e lavorare per noi nelle varie zone d’Italia”. Ma non c’è guadagno. “Rientriamo a stento nelle spese. Come sempre, però, abbiamo un approccio creativo alla vita. Il regolamento non danneggia le aziende grandi, con un mercato avviato alle spalle. Ma per noi è troppo. Ci costringe a guardare all’estero, alla Francia ad esempio, ma intanto rimaniamo qui. Organizziamo laboratori con gli istituti tecnici di Scampia e insegniamo ai ragazzi come applicare le loro conoscenze di elettronica al settore dei droni. Ci sembra al momento il miglio modo per creare il mercato di domani”.