la Repubblica, 28 gennaio 2015
Lasciate perdere le università online. L’Anvur mette sotto la lente d’ingrandimento gli atenei del web e scopre che ci sono pochissimi professori di ruolo e molti crediti per gli studenti
Il dossier è quasi pronto, i grafici si vanno accumulando sulle scrivanie insieme alle singolari percentuali. No, così non va, continuano a ripetere all’Anvur, l’agenzia addetta alla valutazione dell’accademia. La lente d’ingrandimento si concentra sulle undici università telematiche private, nate in Italia nell’ultimo decennio. La prima schermata è sui professori: con rare eccezioni sono pochi, pochissimi, quelli di ruolo. E il numero complessivo è troppo basso rispetto alla popolazione studentesca. Ecco una nuova schermata sui crediti formativi, concessi all’ingresso: in alcuni atenei appaiono molto alti, com’è possibile?
Passiamo alle rette: ma quanto costa laurearsi presso un ateneo online? I dati appaiono incerti, da approfondire. E se sul sito di una qualsiasi università privata bastano cinque minuti per farsi un’idea, le cose si complicano in quello di una telematica. «Le università dovrebbero mandare le informazioni al Cineca, ma non tutte lo fanno», dice il presidente dell’Anvur, Stefano Fantoni. Così può succedere che alcune di loro, negli ultimi cinque anni, abbiano omesso di mandare notizia della propria attività. Senza suscitare scandalo. E qui sta il nodo più grande, da cui occorre partire. Quella delle università a distanza sembra una formidabile zona franca, protetta da efficientissimi uffici legali – «più avvocati che professori», scherzano all’Anvur – e da un sostanziale disinteresse da parte del Miur, che produce una gran quantità di relazioni senza alcuna conseguenza concreta. «Noi vorremmo correggere questa cattiva immagine delle telematiche», interviene Fantoni. «E l’unico modo per farlo è sottoporle a un controllo rigoroso per poi fissare regole certe. Se noi dobbiamo accreditare un’auto, bisogna pur sempre che abbia quattro ruote. Tre non bastano».
Quello dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita (Long Life Learning) è uno degli obiettivi nobili fissati dall’Unione Europea. Il problema è come realizzarlo. In Italia le origini delle università a distanza appaiono confuse, inficiate anche dal sospetto che l’allora ministro Moratti abbia voluto fare un piacere a Silvio Berlusconi, legato da amicizia al proprietario del Cepu. Tra il 2004 e il 2006 è la stagione della grande fioritura degli atenei online, sull’onda di una convulsa produzione legislativa e in assenza di parametri certi. Una realtà parallela a quella delle università tradizionali su cui oggi l’Anvur vuole fare luce.
Tutte eguali, le telematiche? Non proprio. Alcuni atenei sono stati fondati da imprenditori già titolari di istituti per il recupero universitario. È il caso della eCampus, il cui proprietario Francesco Polidori è il titolare del Cepu. Ha un’origine analoga l’Unicusano di Stefano Bandecchi, ex parà simpatizzante del Movimento Sociale e grande sostenitore di Alemanno nelle elezioni del 2013. E così l’ateneo Pegaso di Napoli, fondato da Daniele Iervolino, titolare di una nota catena di istituti di recupero scolastico. L’associazione tra «ateneo» e «recupero» ha sollevato molte perplessità dentro il Miur, specie sotto la gestione del ministro Carrozza, ma la critica è rimasta senza esito. Al contrario, sono quelle stesse università – Pegaso, eCampus, Unicusano – ad aver allargato nell’estate del 2013 il numero dei corsi grazie alle sentenze favorevoli del Tar che hanno annullato un originario divieto dell’Anvur. Oggi Pegaso vanta 9 corsi di laurea e 59 master. ECampus 5 facoltà e 22 indirizzi di studio. Unicusano 6 aree didattiche e 13 corsi di laurea. Alcune di loro esibiscono anche nomi illustri. Pegaso, ad esempio, annovera tra i suoi docenti Giuseppe Tesauro, ex presidente della Corte Costituzionale. E nell’autunno scorso ha ospitato una lectio magistralis di Romano Prodi.
Quali sono gli aspetti su cui l’Anvur vuole vedere più chiaro? «Intanto la questione delle matricole», spiega Fantoni. «Quelle delle università telematiche appaiono sempre molto basse. Se nelle università tradizionali le matricole superano il 60 per cento sul totale dei nuovi ingressi, in quelle online raramente oltrepassano il 30 per cento». Questo si spiega anche con la natura particolare di questi istituti, che raccolgono studenti che erano stati iscritti in passato all’università, persone che vogliono riprendere studi interrotti (nome tecnico: “carriere successive”). Ma il dato che sorprende è che negli atenei telematici tra il 2008 e il 2010 il numero dei nuovi ingressi raddoppia da 8.975 a 17.926 studenti. L’aumento più forte si registra a Unicusano (più 2.800 studenti), Uninettuno (più 2.750) e Pegaso (più 1.500). Perché concentrarsi su queste cifre? Il numero dei professori è fissato sulla base del numero delle matricole, non della totalità degli studenti. Poche matricole vuol dire pochi docenti. «Ora l’obiettivo è aiutare il ministero a cambiare la norma: non più tot professori per tot matricole, ma tot professori per tot nuovi ingressi. In modo da garantire maggiore serietà ai corsi».
In alcuni atenei online il rapporto tra docenti e studenti risulta sproporzionato. L’Anvur calcola che a un docente di ruolo dell’ateneo Pegaso corrispondono 986 studenti, alla Uninettuno il rapporto è un professore per 550 allievi, alla eCampus uno per 334. «Diranno che si avvalgono dei tutor. Ma chi sono questi tutor? An- che qui occorre una verifica». La composizione del corpo docente è un altro nervo scoperto. Con la sola punta avanzata dell’Unitelma Sapienza (emanazione dell’omonima Università) dove l’80 per cento sono professori di ruolo, nella media delle telematiche i docenti di ruolo sono sotto quota 30 per cento. Il corpo degli insegnanti è generalmente composto da figure come lo «straordinario a tempo determinato», soprattutto presso Uninettuno (67,1 per cento), Giustino Fortunato (40 per cento), Pegaso (31,6 per cento): lo «straordinario» può essere un bravo professore in pensione ma anche un incompetente, comunque una persona che non è stata mai selezionata con un concorso. Oppure si ricorre ai «ricercatori a tempo determinato» – il 77,3 per cento alla San Raffaele, il 64,3 per cento alla eCampus, il 61,4 per cento alla Pegaso – figure più deboli e dunque più ricattabili. «L’abuso di personale a tempo determinato impedisce anche la continuità della programmazione», commenta Fantoni. Un altro capitolo assai critico riguarda i crediti formativi. Per anni gli studenti-lavoratori hanno beneficiato di crediti concessi dalle università sulla base degli accordi con gli ordini professionali (giornalisti, carabinieri, poliziotti, anche dipendenti pubblici). Con lo slogan di «laureare l’esperienza», bastavano pochi esami per ottenere il diploma. Il ministro Mussi decise di mettere fine a questo scambio, fino a una legge del 2010 che fissa a 12 per ciascuno il tetto massimo di crediti. Per le telematiche, una scos- sa tellurica: il primo anno accademico successivo alla norma restrittiva (2011-2012) mostra un calo di crediti e l’anno successivo ancora un conseguente calo degli iscritti (con qualche eccezione). Come rimediarvi? Le tabelle di quello stesso anno mostrano un aumento dei crediti (maturati questa volta non sul lavoro ma sui precedenti esami) nella laurea magistrale a ciclo unico di Giurisprudenza, con beneficio per le iscrizioni che nell’anno 2013-2014 soprattutto in alcuni atenei mostrano una straordinaria ripresa (127 crediti in media nelle telematiche contro i 21,1 rilasciati dalle università tradizionali). Come è stato possibile? All’Anvur ipotizzano che in queste università sia cambiato il bacino di utenza, coltivato tra i numerosi studenti già iscritti ad una università e allettati da una laurea in Legge più leggera, favorita dai molti crediti. «Vorremmo capire su quali basi questi crediti vengono concessi», dice Fantoni.
Ora le telematiche dovranno risponderne all’Agenzia della valutazione, sempre che il ministero mantenga la volontà di far luce. «Dopo che avremo fatto la fotografia e proposto le nostre correzioni toccherà al Miur intervenire», conclude il presidente dell’Anvur. Ma non c’è il rischio che nulla cambi, come sempre è accaduto? «Speriamo di no», allarga le braccia il professore, tra i maggiori fisici nucleari italiani apprezzati nella scena internazionale. Secondo una voce insistente, da parte delle università private ci sarebbe la richiesta di abbassare ulteriormente i parametri della docenza. Telematiche incluse, naturalmente. Il dossier dell’Anvur sembra arrivare al momento giusto.