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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

Tre generazioni e tre amministrazioni Usa alla corte di un re. Obama, McCain, Baker (Bush Sr.) e la Rice (Bush figlio) rendono omaggio a Salman per parlare di petrolio, Iran, jihad e per verificare la salute del nuovo monarca. Lo Yemen insegna

Il viaggio della riconciliazione dura solo poche ore. Quanto basta a Barack Obama, con una piccola deviazione al ritorno dall’India, per incontrare il re Salman e esprimere le sue condoglianze per la morte del suo predecessore Abdullah. Un’attenzione inusuale, anche se breve. Petrolio, Iran, Stato islamico e movimenti jihadisti, sono i temi che dominano l’incontro. Un’alleanza strategica si rinsalda, dopo anni di deterioramento, incomprensioni, tensioni sull’asse Washington-Riad. A sottolineare quanto sia ritornata in auge la relazione Usa-Arabia c’è l’enorme dimensione della delegazione americana ai funerali di re Abdallah. Non solo Obama ha portato con sé tutti i massimi collaboratori di politica estera, a partire dalla capa del National Security Council Susan Rice; ma il presidente ha voluto allargare la delegazione dandole un’impronta bipartisan. Con Obama ci sono il suo ex rivale John McCain, sempre una voce autorevole nella politica estera repubblicana; e due ex segretari di Stato repubblicani, James Baker (Bush padre) e Condoleezza Rice (Bush figlio). Tre generazioni, tre Amministrazioni Usa alla corte di un re: non capita sempre.
La presenza di tanti repubblicani serve a ricordare che la crisi nei rapporti bilaterali ebbe inizio con George W. Bush, all’indomani dell’11 settembre 2001. Diversi membri della monarchia saudita quel giorno partecipavano a Washington a una riunione del gruppo d’investimento Carlyle di cui era stato consigliere Bush padre. I reali sauditi vennero evacuati con un volo speciale, sfuggendo al blocco degli aeroporti. Quel trattamento di riguardo fu aspramente contestato quando si venne a sapere che diversi dirottatori dell’11 settembre erano sauditi, così come Osama bin Laden. Da quel momento le relazioni si fecero più tese. Una nuova crisi si aprì nel 2011-2012 in seguito alle aperture di Obama verso le “primavere arabe”, dalla Tunisia all’Egitto. I sauditi si sentirono direttamente minacciati: l’appoggio di Washington alle proteste della piazza poteva favorire la destabilizzazione del loro stesso regime, autoritario e oscurantista. I leader di Riad denunciarono come “ingenuo” l’atteggiamento americano, accusarono Obama di spianare la strada all’avanzata dei movimenti fondamentalisti. Altri dissensi gravi ci furono sulla Siria (la monarchia saudita, ostile al regime di Assad, voleva l’intervento militare su Damasco a cui Obama rinunciò per l’opposizione del Congresso); e ovviamente sull’Iran che è la potenza regionale nemica dell’Arabia saudita (mentre Obama continua a lavorare per un accordo con Teheran sul nucleare).
Più di recente molte asperità si sono smussate. La vicenda egiziana vi ha contribuito: pur senza enunciare una nuova dottrina, Obama ha finito di fatto per rassegnarsi al ritorno di un uomo forte al Cairo come argine contro gli integralisti. D’altra parte l’avanzata dei jihadisti in Siria, la creazione dello Stato islamico e il progetto del Grande califfato, hanno convinto i sauditi a impegnarsi (con l’aviazione militare e coi finanziamenti) nella coalizione che conduce raid in Siria sotto la guida americana. Un nuovo dossier più recente si è aperto con il crollo mondiale dei prezzi petroliferi. Il ruolo dell’Arabia saudita, pur non essendo più decisivo come una volta, resta cruciale in seno all’Opec: il rifiuto di Riad di tagliare la produzione ha contribuito alla caduta del greggio. In apparenza gli interessi americani e sauditi divergono: il petrolio a 50 dollari mette in difficoltà una parte dei giacimenti Usa e può far fallire alcune aziende americane; i sauditi hanno costi di sfruttamento inferiori delle loro riserve e quindi restano competitivi anche a questo livello dei prezzi. Tuttavia allargando lo sguardo allo scenario globale, il controshock energetico favorisce sia Washington sia Riad, almeno nella misura in cui indebolisce i loro avversari come Iran, Russia, Venezuela.
La sosta di Obama a Riad ha anche un altro scopo: verificare la salute fisica del nuovo re. A 79 anni, reduce da un ictus, Salman potrebbe essere un monarca di transizione; in un’area dove molti leader filo-americani sono anziani e indeboliti. Il caso dello Yemen ricorda che le forze jihadiste o integriste sono sempre pronte a riempire i vuoti di potere.