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 2015  gennaio 27 Martedì calendario

Oltre sei milioni di ebrei sterminati, un milione e mezzo ad Auschwitz: così il lavoro degli storici ha misurato il male assoluto. I numeri della tragedia nel Giorno della memoria

Il 27 gennaio di settant’anni fa era un sabato. Nel tardo pomeriggio le truppe sovietiche varcano i cancelli di Auschwitz. Sono gli avamposti della LX Armata del primo fronte ucraino ad arrivare per primi. L’impatto è sconvolgente: cumuli di cadaveri semi-coperti dalla neve e dal fango. I prigionieri vengono invitati a rientrare nelle baracche.
L’arrivo dei sovietici
«Eravamo in silenzio, muti e immobili», ricorda Piero Terracina, che era nel lager dal maggio 1944. «Ho bene in mente l’incontro con un soldato russo. Era solo, in un piccolo vialetto, coperto da un grande cappotto chiaro. Mi fece un cenno e un sorriso. Ma nessuno aveva voglia di festeggiare o gioire. Eravamo in piedi a fatica, avevamo perso tutto e tutti. Ricordo lo sguardo del soldato e quando arrivarono i suoi compagni qualcuno piangeva vedendo dove il destino li aveva condotti. Tornai nella baracca e dissi che erano arrivati i russi, i nazisti erano andati via. I miei compagni di prigionia mi guardarono in silenzio, increduli». Una liberazione sofferta. Circa settemila prigionieri erano ancora in vita, rimasti nel perimetro dei campi principali (Auschwitz I, Birkenau, Monowitz) in condizioni precarie, molti di loro non riuscivano a camminare e i più deboli non si resero conto dell’avvenimento che stavano vivendo.
Vestiti, denti, capelli
I liberatori non ci misero molto a comprendere cosa fosse avvenuto in quel grande spazio. Trovarono oltre 370 mila vestiti da uomo, 837 mila mantelli da donna, enormi quantità di abiti da bambino, tappeti (oltre 14 mila), protesi, spazzolini da denti, cataste di occhiali, quasi 45 mila paia di scarpe e quasi 8 tonnellate di capelli imballati e pronti al trasporto. Le ultime tracce di chi era passato da quel luogo. Cifre divergenti oscillarono per molto tempo tra un minimo di mezzo milione e un massimo di sei milioni di vittime per il solo sistema concentrazionario di Auschwitz. Oggi sappiamo, possiamo spiegare e documentare gli aspetti consolidati di un giudizio sugli effetti della soluzione finale.
Stime sempre più precise
Cifre che riflettono il lavoro di generazioni di studiosi in diversi angoli del pianeta. I calcoli condivisi e verificati sono attestati su almeno un milione e centomila senza escludere la possibilità di arrivare a un massimo di un milione e mezzo di vittime nel sistema facente capo al campo di Auschwitz, una cifra che corrisponde a un quarto degli ebrei uccisi dai nazisti durante gli anni del secondo conflitto mondiale. E anche sul totale, il computo si è consolidato in un delta di oscillazione tra i 5 e i 6 milioni, tra 5 milioni e 300 mila come soglia minima e 6 milioni e cento come limite massimo.
Le somme non sono solo un numero che indica una stima, un punto di riferimento. Sono anche la misura del dolore, dell’assenza di vite e storie, della responsabilità di aver cancellato un pezzo d’Europa, strappato tessuti familiari, relazioni sociali, mondi culturalmente rilevanti.
Ottomila ebrei italiani
Lasciamo parlare le cifre. Il 90 per cento degli assassinati ad Auschwitz erano ebrei: 960 mila, una grande città italiana. Dall’Ungheria il nucleo più consistente, 438 mila; 300 mila dalla Polonia, poco meno di 70 mila dalla Francia, 60 mila circa dai Paesi Bassi, 55 mila dalla Grecia, 46 mila da Boemia e Moravia, 27 mila dalla Slovacchia, 25 mila dal Belgio, 10 mila dalla Croazia, 8 mila dall’Italia (compresa l’isola di Rodi), 6 mila dalla Bielorussia, 1600 dall’Austria, 700 dalla Norvegia, 23 mila dalle antiche province del Reich.
In meno di un decennio tra il 1983 e l’inizio degli Anni Novanta del secolo scorso i conteggi hanno cominciato a coincidere, le fonti hanno permesso di consolidare le ipotesi di partenza e di correggere le comunicazioni e le notizie circolate all’indomani della fine della guerra. La stele del monumento alla memoria sul suolo di Auschwitz aveva mantenuto la cifra dei 4 milioni proposta da una commissione a fine conflitto. Nell’ultimo scorcio di Novecento venne modificata per accogliere il risultato della ricerca storica.
Prove contro i negazionisti
Un cammino anche questo prezioso e difficile: offrire al mondo la dimensione del crimine, le prove anche per chi tentava di minimizzare o negare l’evidenza. Come ha scritto nel 2004 una storica tedesca come Sybille Steinbacher («Auschwitz. La città, il lager») «la discussione sui numeri non implica minimamente una relativizzazione dei crimini commessi, e conferma in ogni caso l’importanza centrale che il complesso di Auschwitz-Birkenau ebbe nella politica nazionalsocialista di sterminio».