27 gennaio 2015
Toto-Quirinale: a due giorni dal voto Renzi nasconde ancora il suo candidato. In prima fila Amato, Mattarella, Fassino e Padoan. Spunta con forza l’ipotesi Chiamparino, risalgono Veltroni e Casini mentre scende Finocchiaro. Sembrano ormai out Cassese e De Siervo
Il meglio dagli articoli di oggi sulla corsa per il Quirinale a due giorni dal voto.
A forza di fare circolare nomi di possibili «quirinabili», qualcuno dei favoriti deve essersi perso per strada. Forse non è tornato più a casa, e i familiari disperati lo stanno cercando. Deve essere per aiutarli che ieri intorno a Montecitorio è improvvisamente apparsa una troupe televisiva del celebre programma Chi l’ha visto?, condotto da Federica Sciarelli: «Giriamo un servizio per la puntata di venerdì», assicuravano i cameramen. Chi sia il candidato scomparso, non si sa [Franco Bechis, Lib].
Renzi vuole un nuovo presidente della Repubblica entro domenica. Questione di leadership e di mercati: lunedì, alla riapertura delle Borse, l’Italia deve aver superato l’esame di stabilità e allontanarsi dalla Grecia. Lo scenario che si aprirà in Grecia, tra tenuta della “strana” coalizione e nuovi negoziati sul debito con l’Europa, è tutto da scoprire, ma quello che Renzi non vuole è che si replichi in Italia quello che è accaduto ad Atene. Il voto greco di domenica nasce proprio dal fallimento dell’elezione del nuovo capo dello Stato: dunque se anche a Roma il Parlamento non riuscirà a eleggere il presidente della Repubblica in fretta, l’Italia tornerà a essere un problema [Isabella Bufacchi, S24].
D’altra parte far scivolare l’elezione anche solo di una votazione, può far trasparire da parte del premier un segno di debolezza interna. Oppure il leader del Pd vuole far capire che non dispera di riuscire a convincere Berlusconi, deciso al momento a far valere i suoi tanti voti con altrettanti veti: su Padoan, su Mattarella, su Finocchiaro e su tutti gli ex segretari del Pci-Pds-Ds-Pd, compreso Fassino. Guarda caso proprio i nomi che stanno nella Renzi’s list [Francesco Verderami, Cds].
Gli ultimi aggiornamenti sulla corsa per il Quirinale sono tre: la conferma che il Pd voterà scheda bianca nelle prime tre votazioni, l’auspicio di avere già sabato, alla quarta, il nuovo presidente della Repubblica, soprattutto il fatto che il Pd «proporrà agli altri partiti non una terna, ma un nome solo, secco» [Marco Galluzzo, Cds].
Renzi non vuole scoprire le sue carte con troppo anticipo e dare tempo ai suoi avversari di preparare le contromosse. Ma Berlusconi non può attendere la vigilia della quarta votazione, che si terrà sabato, per conoscere il vero candidato del premier. Nel frattempo proprio questa incertezza lo ha spinto a dare il via libera alla scheda bianca nelle prime tre votazioni, mentre in precedenza aveva ipotizzato di far votare un candidato di bandiera, l’azzurro Antonio Martino [Barbara Fiammeri, S24].
Dalla nebbia di questi giorni emergono quattro personaggi, ormai sufficientemente consolidati. Anzitutto c’è un braccio di ferro in corso su Giuliano Amato, una candidatura che al capo del governo non fa fare salti di gioia. Poi Sergio Mattarella, giudice costituzionale, profilo istituzionale adatto. A Berlusconi tuttavia non piace, Renzi ha già preso nota sul suo taccuino del «no» del capo forzista. C’è quindi Piero Fassino, un altro candidato che potrebbe unire le varie anime del Pd in nome della Ditta. Infine, Pier Carlo Padoan. Benché gli stessi renziani mettano in guardia il premier dal possibile accentramento di potere nella saldatura tra il Quirinale e la tecnostruttura del Ministero dell’Economia, al capo del governo sembra una buona scelta. Specie in un periodo non semplice sui mercati per via della Grecia [Francesco Bei, Rep].
Padoan non ha tifosi, ma nemmeno troppi avversari. «Non può dirgli di no la minoranza Pd», spiegava ieri l’ex direttore de l’Unità Giuseppe Caldarola, «perché lui era consulente di Massimo D’Alema nella Fondazione italiani-europei. E piace anche a chi guarda questa elezione dall’estero» [Franco Bechis, Lib].
Dall’altro lato della barricata, Bersani osserva lo sviluppo della situazione, e al pari del Cavaliere sembra per ora intenzionato a non offrire sponde: «Non si era mai visto un premier che avoca a sé le trattative per il Quirinale. Ma visto che ha deciso così, tocca a lui la soluzione». E Renzi dovrà trovarla prima di incontrare proprio Berlusconi e Bersani, gli unici che vedrà al riparo delle formali consultazioni con i partiti, e che – guarda caso – hanno un nome in comune nelle loro liste: quello di Amato, a favore del quale si sta esercitando sul premier una forte pressione [Francesco Verderami, Cds].
Con i suoi Bersani ha ribadito la linea: «Non poniamo veti, ma in quarta votazione non ci portino un nome scelto nel chiuso del Nazareno». Il timore è che dal cilindro di Renzi spunti un uomo (o una donna) dal profilo basso, magari un ex ds al quale sarebbe difficile voltare le spalle [Monica Guerzoni, Cds].
Enrico Letta, per dire dei rapporti ancora gelidi nel Pd, ieri alla Camera ha cambiato strada quando ha saputo che in un corridoio avrebbe potuto incrociare Renzi [Francesco Bei, Rep].
In questi giorni a largo del Nazareno starebbe crescendo il partito di quelli che vorrebbero al Quirinale un ex leader del Pd o del centrosinistra. Si tratterebbe di una scelta pesante da un punto di vista politico, poco gradita a Forza Italia e a Ncd e che per questo è vagliata con prudenza. Tra gli ex segretari i più spendibili sono Walter Veltroni e Piero Fassino, i meno indigesti a Silvio Berlusconi. Il Cav, infatti, conscio di non avere i numeri per imporre un nome, sta però cercando se non altro di garantirsi un potere di veto. Che ha già manifestato per Romano Prodi, comunque sempre in corsa [Andrea Cuomo, Grn].
È proprio Prodi il nome che, paradossalmente, rischia di spaccare la sinistra e mettere in seria difficoltà Bersani. Pippo Civati lo ha lanciato con tanto di lettera ai parlamentari e Zoggia si è subito incaricato di stoppare l’operazione: «Noi siamo completamente contrari a usare il nome di Prodi in modo strumentale, per poi bocciarlo in quarta votazione. Se lo mettiamo in pista, deve andare a segno». Parole che confermano come una parte dei bersaniani mediti di confluire su Prodi già dal primo voto. «Come Bersani, io riparto da lì – sembra tentato Miguel Gotor –. Autonomia e lealtà vanno insieme, mentre la fedeltà va col tradimento» [Monica Guerzoni, Cds].
Contemporaneamente si stanno muovendo da giorni le truppe che portano i candidati ex democristiani: quelli che vorrebbero Sergio Mattarella, e quelli che tifano Pierluigi Castagnetti. Sono fra i più attivi nel contattare la stampa per il gioco del tiro al piattello: spargono notizie che sono proiettili pronti ad abbattere il candidato che in quel momento sembra in volo [Franco Bechis, Lib].
Scrive Amedeo La Mattina sulla Stampa che «sollecitato dal capo, domenica Denis Verdini ha chiamato Luca Lotti, il collaboratore più stretto di Renzi: gli ha chiesto un appuntamento e ieri i due sono andati a pranzo in un ristorante romano. Davanti a un piatto di spaghetti Lotti gli ha svelato la candidatura che sta accarezzando il premier. Chiamparino, appunto. Finito il pranzo Verdini ha riferito a Berlusconi. Non c’è conferma di una telefonata diretta tra il premier e l’ex premier. Il colloquio ci sarà sicuramente oggi: Silvio dovrà dare una risposta a Matteo».
Sabino Cassese sembra ormai out, così come Ugo De Siervo. Fuori anche Sergio Chiamparino e Paolo Gentiloni. Il ministro degli Esteri, sostiene il premier, «è stato nominato da troppo poco tempo» per poter fare il gran salto. Lontana dal podio anche Anna Finocchiaro [Francesco Bei, Rep].
Per i moderati uno dei candidati in corsa è Pier Ferdinando Casini. L’opinione di Renzi sull’ex presidente della Camera non è negativa, anzi. Ma ai suoi ha posto questo quesito: «Perché il Pd dovrebbe rinunciare a esprimere una sua candidatura? Ci dovrebbero essere validi motivi che non vedo» [Francesco Bei, Rep].
E veniamo infine alle «quote rosa». Matteo Renzi: «Non so se c’è lo spazio perché si chiuda su una donna, lo verificheremo». Parole che, pur se caute, ridanno fiato per qualche ora alle speranze di vedere colorato di rosa per la prima volta nella storia repubblicana il Colle più alto. Quindi, quantomeno stabili le quotazioni delle uniche due signore con qualche concreta possibilità di farcela: il ministro della Difesa Roberta Pinotti, e, un passo indietro, la senatrice Anna Finocchiaro [Andrea Cuomo, Grn].