la Repubblica, 27 gennaio 2015
Going clear, Scientology e la prigione dei divi. Nel suo documentario, il premio Oscar Alex Gibney indaga sul potere economico della setta, ripercorre i legami con Hollywood e il lavaggio del cervello tipico della setta. Tutto nella speranza di smuovere attenzioni e sollecitare inchieste giudiziarie
Una standing ovation del pubblico al cinema Marc di Park City ha accolto Going clear: Scientology and the prison of belief, durissimo docufilm, al suo debutto al Sundance, sulla celebre setta religiosa. Il documentario, diretto da Alex Gibney (vinse il premio Oscar nel 2008 per Taxi to the dark side sulle torture degli americani in Iraq e Afghanistan), imperniato sul controverso libro di Lawrence Wright dallo stesso titolo, si è rivelato l’evento di questi primi giorni del festival di Robert Redford, con spettatori illustri come Tobey Maguire, Alec Baldwin, Jason Sudeikis, l’editorialista del New York Times Maureen Dowd accorsi pur di vederlo. La HBO, che lo ha finanziato e lo manderà in onda dal 16 marzo, ha già messo in campo uno staff di 160 avvocati, pronti a difendere il film dalle ritorsioni della potente casta di Scientology.
E ce ne sarà bisogno. Perché il documentario indaga il potere, soprattutto economico, di Scientology e del suo attuale leader David Miscavige, svela lo status di organizzazione non profit, dunque esente da tassazione, in Usa, ripercorre i legami con Hollywood, l’affiliazione di adepti come Tom Cruise e John Travolta che in nome della setta hanno fatto cose poco limpide. Going clear: Scientology and the prison of belief scava sull’origine della “scientologia” a partire dalla metà degli anni ‘50 seguendo le vicende del suo fondatore, lo scrittore di fantascienza Ron Hubbard, accusato di violenza sulla prima moglie e di rapimento della loro figlia lasciandola a Cuba nelle mani di una donna mentalmente disabile. Descrive l’elaborata cosmologia di Hubbard che incorpora extraterrestri, spiriti invadenti, vulcani e altri elementi della sua fantasiosa opera. Parla dell’ascesa al potere, alla morte dello scrittore nell’86, di David Miscavige, che presto viene accusato di aver terrorizzato, picchiato, imprigionato e usato come schiavi i suoi seguaci. Ma soprattutto, il film segue l’impegno della setta per ottenere lo “status esentasse” attraverso il quale ha accumulato fortune immobiliari nel mondo pari a quasi 3 miliardi di dollari, secondo la testimonianza di alcuni ex-membri tra cui il regista Paul Haggis.
Tom Cruise, è la celebrità la cui immagine esce più “devastata” dal film. Gibney sostiene che l’attore arrivò a “spiare” il telefono dell’allora moglie, Nicole Kidman, negli anni ‘90, durante l’anno di lavoro per il film Eyes wide shut, per tenerla sotto controllo. Con tocco ironico nel montaggio cinematografico, Gibney mostra Cruise – che aveva avuto il “capo” Miscavige come testimone di nozze sia con la Kidman che con Katie Holmes – in varie espressioni infervorate, ai limiti dell’invasato, verso Scientology e il tutto sul tema musicale di Mission Impossible.
Non esce meglio John Travolta in una delle sequenze più toccanti del film, quando si racconta di Spanky Taylor, la giovane adepta che inizialmente fu il “contatto” dell’attore di La febbre del sabato sera nella setta. Poi entrata nel cono d’ombra, lei fu costretta a seguire un duro programma di riabilitazione (pulire i bagni, vivere come in una prigione, “separata” dalla figlia appena nata....). Lei si salvò fuggendo da Scientology con la sua bambina, mentre Travolta che aveva visto e seguito i maltrattamenti a lei inflitti non aveva mosso un dito. La loro amicizia finì lì, ed era il ‘77. «Non avevo idea di quanto Hubbard fosse ciarlatano – ha detto la Taylor giunta a sorpresa sul palco alla fine del film accompagnata dalla figlia ormai adulta – Ci aveva insegnato a credere che aveva tutte le risposte. Eravamo completamente indottrinati. Scientology era ed è tuttora un lavaggio del cervello».
Accanto a lei, Gibney ha ringraziato le persone che hanno avuto il coraggio di raccontare le proprie storie d’orrore. Wright, l’autore, che pure ha avuto un mucchio di «seccature legali fin dalla prima stesura del libro», dice che è niente rispetto a «quello che le persone che hanno deciso di uscire dalla “chiesa” hanno dovuto affrontare». La speranza di Gibney è di smuovere attenzioni e sollecitare inchieste giudiziarie: «Anche noi abbiamo ricevuto le nostre minacce: lettere cartoline... – ha ironizzato – Avevamo anche chiesto aiuto a varie reti televisive per immagini di repertorio ma quasi tutte hanno rifiutato per paura di ritorsioni». Qui a Park City, in molti avevano il timore che «miliziani» della setta avrebbero potuto pickettare la proiezione del film. Ma non si sono visti. «Da Scientology bisogna sempre aspettarsi di tutto», è l’amaro commento di Gibney.