Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2015
L’avanzata dei partiti-antisistema in Europa, da Syriza a Podemos. Analisi di un virus che sta contagiando politica e società
C’è un fantasma che si aggira per l’Europa e non è più né il mitico comunismo del “Manifesto” di Marx ed Engels, né il fascismo, né la rivoluzione. Adesso allo spettro abbiamo affibbiato il nome di “populismo”. Anzi non pochi sospettano che sia una specie di idra in cui sono confluiti insieme i cascami delle antiche utopie ideologiche e quelli delle nuove utopie pseudo-scientifiche. La difficoltà per fare una mappa del populismo europeo è la natura ambigua e multiforme del fenomeno. Perché il populismo è un virus che di fatto si espande per tutta la vita politica nei momenti di crisi in cui diventa angosciante l’interpretazione e l’attesa del futuro. Per semplificare, possiamo dire che il populismo è una versione esasperata e quasi stregonesca del concetto fondamentale della politica moderna. Partendo dal presupposto che “la sovranità appartiene al popolo” e che di conseguenza tutto si fa “in nome del popolo”, ci si chiede come mai poi alla fine “il popolo” non tragga i vantaggi dovuti (o immaginati) da questa premessa. Conclusione: perché “qualcuno” ha tradito il popolo e non ha assunto le “semplici” soluzioni che ci avrebbero risparmiato questo presente così poco allettante. E dunque ecco sorgere quelli che si candidano a sostituire i “traditori”.
Se ci si pensa, le caratteristiche che uniscono i populismi d’Europa sono facili da individuare e sono quelle di sempre. Da “Podemos” in Spagna all’Ukip di Farage in Gran Bretagna, da “Alternative für Deutschland” in Germania al “Front National” in Spagna, fino a casa nostra al M5S e alla Lega Nord, i temi che vengono suonati, pur con molte variazioni, sono gli stessi: siamo nelle mani di una politica corrotta, in mano al “denaro” (finanza, banchieri, capitalisti); dobbiamo difendere la “comunità nazionale” dalle infiltrazioni che la snaturano (dunque si va dall’antieuropeismo all’anti immigrazione); dobbiamo riscoprire una più o meno mitica identità culturale che ci consente di riconoscerci fra noi e di espungere quelli che vengono da altre tradizioni o coloro che quella cultura hanno ripudiata.
Naturalmente la mappa è molto più complessa dei pochi nomi che abbiamo ricordato. Pullulano formazioni meno estese e con magari integralismi più spinti, perché i populismi maggiori cercano, tutto sommato, di essere il più inclusivi possibile e dunque si sforzano di rifuggire da connotazioni ideologicamente o politicamente stringenti (altrimenti il “popolo” rischia di assottigliarsi …). Ci sono fazioni all’interno dei partiti maggiori dello spettro tradizionale che non disdegnano di raccogliere tematiche dei populisti: per dire, anche in Svezia per esempio il tema anti immigrazione sta montando, cosa rara fino a non molti anni fa.
Il fatto è che il virus si diffonde e inevitabilmente contagia le agenzie che raccolgono il consenso nelle nostre società sviluppate: dai partiti politici al sistema dei media. Il vecchio detto che “la colpa è sempre del diavolo”, il rito del “capro espiatorio”, sono strumenti antichi dell’armamentario con cui gli uomini si difendono dall’incomprensibile anche nella sfera pubblica. Il “dagli all’untore” non è un episodio circoscritto alla peste di Milano del 1630, quella che una volta tutti avevano imparato a conoscere attraverso “I Promessi Sposi” (che, sia detto per inciso, contengono anche l’altro famoso episodio dell’assalto ai forni, ulteriore esempio del sentire “populista”). Il populismo rappresenta dunque un condizionamento pesante sulla vita politica generale. Al di là del successo crescente dei movimenti che si ispirano direttamente ad esso, le forze che debbono contrastarlo cadono almeno parzialmente gioco forza nell’ambito di questa dialettica. Se il populismo dice che l’euro ci ha impoveriti, i contrari diranno che l’euro va salvaguardato così com’è altrimenti ci sarà la catastrofe di un impoverimento futuro a livelli terribili. Se viene detto che bisogna fermare le ondate migratorie, si dovrà ribattere o che non c’è alcun problema o che effettivamente si può farlo anche con altri mezzi. Continuare con questi esempi è facile. Il peggio è che la politica in questo clima è costretta a sposare ancor di più la strategia dello slogan e della semplificazione. Se la colpa è sempre del diavolo, il politico sarà tentato di presentarsi come l’esorcista che lo scaccia con un rito ad effetto immediato. Quando i populisti riescono a costringere i loro antagonisti su questo terreno hanno già guadagnato un vantaggio enorme. Lo stiamo già vedendo in Europa, dove i leader e coloro che aspirano ad esserlo hanno sempre meno spazi per una gestione razionale dei problemi enormi sul tappeto e sono sempre più costretti a misurarsi con le rappresentazioni semplificate e sbrigative della crisi e delle soluzioni possibili.
Fra un po’ vedremo il fenomeno nelle elezioni inglesi; qualcosa intuiremo anche nelle prossime regionali italiane; abbiamo avuto eventi emblematici in Scozia e Catalogna. Tutti casi con le loro peculiarità, ma tutti pesantemente condizionati dalla sfida del nuovo spettro che percorre l’Europa.