la Repubblica, 26 gennaio 2015
È stato falegname, contadino, pastore, cowboy, apicoltore, pilota di motocross e fidanzato di una campionessa, Denise Karbon. Ha trentacinque anni ma venticinque li ha passati sulla tavola da Snow. Ecco chi è Roland Fischnaller, il campione del mondo di slalom
«Ai ragazzi, a chi è interessato, a chi vuole essere felice dico: prendete uno snowboard e alzatevi all’alba, andate dove c’è la neve fresca e cominciate a curvare giù per la montagna. Vi regalerà un feeling puro della vita, perché la vita è divertimento, ed essere felici è importante». Un campione può anche essere infelice, stressato, rancoroso, ma se fa snowboard vive di emozioni, di piccole e grandi sfide, di aria frizzante che nutre e sferza i polmoni, di allegre bicchierate con chi ti ha appena battuto, perché se le prendi oggi le darai domani, ed è un po’ così che si sente Roland Fischnaller. Trentacinque anni, di cui venticinque vissuti felicemente sulla tavola, in attesa del titolo mondiale arrivato quando in molti lo davano già per finito. Medaglia d’oro, giovedì scorso, in slalom parallelo ai Mondiali di Lachtal, battendo in finale il russo Sobolev. E poco prima, l’americano con passaporto russo Vic Wild, che l’aveva sbattuto fuori dalle Olimpiadi di Sochi.
Quelle che, secondo una sfortunata profezia del presidente del Coni Malagò, lui avrebbe vinto. Appena tornato a casa, Roland fa colazione e sente il coro della chiesa, guidato dal suo amico Erich che dirige tre canzoni della tradizione alpina.
«È stato lui, Erich Pramsohler, a farmi scoprire che cosa significa snowboard.
Lo vedevo a dieci anni, scendere elegante sulla tavola, i capelli lunghi sulla schiena, gli occhiali enormi.
Era l’eroe della nostra valle, “voglio diventare così” mi dicevo, ed ora che lui lavora in birreria ed io vinco ai Mondiali, sono orgoglioso di essere suo amico». Un campione del mondo nasce anche così, con uno spirito d’emulazione degno della grande onda alle Hawaii. Perché in fondo, anche la montagna è spazio immenso come l’oceano, e gli snowboarder non sciano: surfano. «Sono stato falegname, contadino, pastore, cowboy, apicoltore, pilota di motocross, fidanzato di una campionessa, Denise Karbon, abbiamo imparato tanto negli anni più belli. Vengo da un paese povero e di una cosa sono certo: la vita da atleta è bella, e non mi sogno nemmeno di lamentarmi». Fischnaller si sta godendo il meritato riposo nella sua Val di Funes, «lo stesso paese di Messner, dove abbiamo poco, nessuna stazione sciistica, turismo quasi zero, ma Reinhold ed io siamo arrivati dove siamo grazie alla passione, ad un famiglia normale, alla vita che abbiamo vissuto». La famiglia, due sorelle, una di loro, Cristina, trascina sulla tavola il fratellino di dieci anni che allora fa sci alpino. Come quasi tutti, in quegli anni, è il 1990 e Tomba si sta riprendendo dalla crisi seguita agli ori di Calgary, sta per nascere il fenomeno Compagnoni e lo snowboard non è nemmeno nel programma olimpico, isola per alternativi e freak delle nevi. Altri tempi, il futuro campione del mondo lavora duro, ma non sulle piste: «Dieci ore al giorno come carpentiere, per tre mesi sono stato appeso ad un’imbracatura per costruire il tetto in legno della chiesa. Poi, alla sera, mi mettevo la tavola ai piedi». Quando arriva l’estate, la famiglia Fischnaller sale in quota, nella malga Dusler: «I miei genitori hanno una baita sotto le Dolomiti, dovevamo curare cento vitellini che i contadini portavano sulla malga. Facevo il cowboy, insomma, tutto il giorno dietro le mucche, imparando da papà che fa anche il boscaiolo, poi l’apicoltore, produciamo 700-800 chili di miele l’anno ed io lo porto sempre con me». Nei momenti liberi, ben lontano dagli sguardi dei genitori, la grande tentazione dell’arrampicata, una parete di quattrocento metri che Roland affronta senza imbracatura, «a un certo punto, col vuoto sotto di te, capisci che non rischi più, sei nel totale controllo di te stesso, una consapevolezza che mi sono portato anche nelle gare».
Ma il mondo snowboard è anarchico nell’anima, imbrigliato a fatica da tecnici come il nostro Cesare Pisoni, bergamasco che cerca ogni giorno di mescolare metodi di allenamenti e spirito ribelle. Se lo sentiva, Pisoni, che quella era una follia. Tremilacento chilometri in sedici giorni in bicicletta, dalla Val d’Isarco a Sochi, pochi mesi prima delle Olimpiadi. Si erano messi d’accordo l’altro azzurro March, il “guru” Erich, un amico e Roland, diventato nel frattempo uno degli snowboarder migliori del mondo, primo caporale maggiore stipendiato dall’Esercito con un argento e due bronzi mondiali. «Mai più» ricorda oggi Fischnaller, «ho sofferto tantissimo, mi faceva male dappertutto». Una follia on the road, «noi siamo così, con gli americani una volta siamo andati al mare in Florida». Persa Sochi, rimessi insieme i pezzi di quella preparazione disgraziata in uno stage a Formia, Fischnaller è arrivato ai Mondiali austriaci domando la sua nuova tavola, con una piastra che gli dà più stabilità, e un tendine rotuleo rotto sedato con antidolorifici. «Questo oro ci voleva, finalmente. Non sarò mai ricco, non comprerò mai uno yacht a Saint Tropez, ma datemi una montagna per surfare, ed io sarò l’uomo più felice del mondo».