la Repubblica, 26 gennaio 2015
Pogba, l’uomo del futuro. Vale tanto ma la Juve dovrà pensarci a lungo prima di venderlo. Intanto alle milanesi servirebbe un bagno d’umiltà perché in questo campionato mancano. E mancano per colpa loro, poche idee e poco gioco, non per una congiura planetaria. Il punto di Mura
A Firenze nessuno voleva il pareggio e pareggio è. Tre di fila per la Roma, mentre la Juve ha vinto tre volte e i punti di vantaggio salgono a 7. La Roma subisce un gol casuale di Gomez, ma il brio e la velocità della Fiorentina non sono casuali. Come altre volte, la Roma si ricompatta nel secondo tempo, ispirata da Iturbe, ma più vicino alla vittoria è andato Montella. Bella partita. I sogni di scudetto sono una piantina irrigata a una goccia (un punto) per volta. La piantina non è morta ma è un po’ deperita. La Juve, anche quando sembra svagata e poco incisiva, trova chi la scuote. Ieri a battere un onesto Chievo ci ha pensato un grande Pogba, con tre gesti in crescendo: il sinistro dell’1-0, il doppio controllo al volo di destro che porta al gol di Lichsteiner e l’atteggiamento da vecchio capitano quando calma Vidal, incupito per il cambio. Dovrà pensarci a lungo, la Juve, prima di venderlo, e lasciamo stare Zidane. Aveva 29 anni quando andò a Madrid, Pogba non ne ha ancora 22 ed è uno dei tre fuoriclasse della Juve. Due (Buffon e Pirlo) hanno la loro bella età. Pogba è il futuro.Dalla testa della classifica al centro. L’inabissamento di Milano è sempre più vistoso. Parlano i numeri: in due, le milanesi hanno fatto 52 punti, la Juve da sola 49. Sono sulla sinistra della classifica per un pelo: un punto più di Torino e Sassuolo. Su 20 partite ne hanno vinte 6 a testa. Una ha da poco cambiato allenatore, l’altra deciderà domani. Per raggiungere l’Europa, entrambe hanno una sola carta in mano: la Coppa Italia. L’Inter ne ha un’altra più vaga, la vittoria in Europa League. Una miseria, di fronte all’antica nobiltà. Che è sparita, ma pesa. Abituati a viaggiare in prima classe, i tifosi non gradiscono l’equivalente della terza fumatori. Il primo parafulmini è sempre l’allenatore: l’Inter, con Mazzarri, ha già provveduto. Si vede la mano di Mancini, s’era detto dopo Torino e la vittoria col Genoa. Ora si vede meno.
Fin troppo tenero nei confronti della truppa («hanno giocato bene, sono soddisfatto, il calcio è crudele»), il tecnico ha individuato il difetto nello scarso movimento di punte e mezze punte negli ultimi 25 metri. Verissimo, ma non è tutto qui. Anche senza il gol di Moretti negli ultimi secondi, Mancini ammetterà che uno 0-0 sarebbe stato deludente per una squadra che a parole insegue il terzo posto. Squadra rinforzata (forse) da Thohir facendo debiti qua e là. Uno 0-0 senza che Padelli fosse chiamato agli straordinari, uno 0-0 che seguiva lo 0-0 di Empoli. E, se non si crede alla bacchetta magica, era difficile pensare che un’Inter che fatica a battere le riserve della Samp in 10 facesse un sol boccone del Torino.Il problema delle milanesi, e qui bisogna chiamare in causa le società, non è solo il passato che luccica, ma l’incapacità di gestire un presente sempre più opaco. Ognuno a modo suo, Moratti e Berlusconi hanno impersonato il mecenatismo meneghino, il grande capitale unito alla passione per il pallone, il mettersi le mani in tasca senza badare più di tanto alle spese. È un modello tramontato davanti all’aumento delle uscite senza rientri adeguati, alla comparsa sulla scena europea di concorrenti ancora più ricchi, di un mercato dominato dai procuratori in cui (la decadenza di Milano non è cominciata ieri) si cerca di parare i colpi coi prestiti onerosi, coi parametri zero, con l’ingaggio di qualcuno, meglio se è un nome di cartello, che spesso non serve a nulla, se non ad alimentare illusioni. Vale per Hernanes, M’Vila, Vidic, Alex, Armero, Essien, Van Ginkel, Torres. A Milan e Inter serve un regista, un uomosquadra, un uomo-guida, un organizzatore di centrocampo, quello che sono Barreto a Palermo e Valdifiori a Empoli. Quando il fallimento è così clamoroso, non servono né i proclami berlusconiani («non cambierei la rosa del Milan con nessun’altra») né il buonismo di Thohir, certificato da un sorriso che sembra una smorfia. Serve un po’ d’umiltà e di lucidità nelle analisi. A questo campionato mancano all’appello le milanesi, tradizionali avversarie della Juve che se la ride. E mancano per colpa loro, poche idee e poco gioco, non per una congiura planetaria.