Corriere della Sera, 26 gennaio 2015
Giuseppe Chenetti e l’austerity dello sci di fondo. Il ct ha imposto regole ferree: vietati i ritardi, banditi i cellulari a tavola e nelle riunioni, «E se qualcuno chiacchiera mentre parlo io, ed è successo, m’incavolo di brutto...». Gli atleti hanno l’obbligo di indossare la divisa federale e quando si può, «si dorme in caserma a costo quasi zero (5 euro a pasto) oppure facciamo come in Norvegia, dove abbiamo affittato una casetta e ci siamo portati il cibo dall’Italia. Fare economia ci ha uniti. Ho trovato l’anarchia, ora siamo una squadra»
Pellegrino, Pellegrino, Pellegrino. Da Davos a Rybinsk (sabato), planando a volo radente sul piccolo mondo antico della Val Monastero, il falco ha monopolizzato lo sprint di Coppa, sorprendendo se stesso («Speravo di arrivare in fretta ad alto livello però le prime vittorie me le aspettavo nel 2016...») e il c.t. del fondo Giuseppe Chenetti, per tutti Sepp: «Mi attendevo cose buone, ma seguendo una crescita graduale. Non prevedevo picchi, e tutti insieme...».
La cura del Sepp – 51 anni, di Moena, richiamato al timone degli sci stretti dopo la trionfale Olimpiade di Torino 2006 e l’ottimo lavoro d’artigiano nel forgiare il talento di Alessandro Pittin in combinata —, funziona. Uscita a pezzi dai Giochi di Sochi (zero medaglie), l’Italia del fondo è stata rivoluzionata e messa nelle mani grandi del d.s. Sandro Pertile, che come prima mossa ha riportato all’ovile il Sepp. Tra le macerie, poche certezze: «Ho trovato qualche atleta che conoscevo già, Clara e Di Centa, ligi al dovere e professionali – racconta Chenetti a tre settimane dal Mondiale di Falun —. Poi c’era una fascia intermedia cresciuta nell’anarchia, senza guida: ognuno faceva quel che voleva. Infine le donne: con enormi lacune tecniche, tutte da ricostruire a partire dalla testa; non esiste accontentarsi di essere la migliore in Italia!».
Sepp si è rimboccato le maniche, e si è dato una scaletta di priorità. «L’urgenza massima era la mentalità del gruppo. Quello è stato il bandolo della matassa». Imporre, con garbo e misura, qualche sana regola di comportamento è stata l’ovvia conseguenza. Vietati i ritardi agli allenamenti, obbligatoria la divisa federale, banditi i cellulari a tavola e nelle riunioni tecniche («E se qualcuno chiacchiera mentre parlo io, ed è successo, m’incavolo di brutto...»), social da frequentare con giudizio. «Il rispetto reciproco è alla base. Era necessario ridare agli azzurri una parvenza di squadra. Qualcuno ha capito subito, qualcun altro ha borbottato. Ma così abbiamo ricreato un’unità, una condivisione». C’è, poi (tutto il mondo è paese), la questione delle nozze con i fichi secchi. I ragazzi del biathlon dividono gli appartamenti per risparmiare sull’albergo, quelli dello sci alpino sono costretti a giri dell’oca per i cieli pur di economizzare sui voli aerei. Anche il fondo porta, con dignità, il suo fardello. «Possiamo contare su un budget ridotto, lontanissimo da quello dell’alpino, anche se Pertile cerca di venirci incontro. Ottimizziamo su tutto. Meno skimen: a Sochi erano dieci, oggi sei e, oltre a preparare gli sci, fanno un po’ di tutto. Quando possiamo dormiamo in caserma a costo quasi zero (5 euro a pasto, di media), sennò sfruttiamo l’ospitalità delle località dove facciamo i raduni. In Norvegia, a inizio stagione, abbiamo affittato una casetta e ci siamo portati dietro gli alimenti: in totale abbiamo speso meno che se fossimo andati in albergo in Italia...».
Un po’ più a stecchetto e meno coccolati, finalmente ricondotti nei ranghi, gli azzurri viaggiano leggeri verso Falun, dove sarà bene non aspettarsi miracoli. Il Grande Nord (Scandinavia, Russia) si presenterà in gran spolvero (a Rybinsk, dove falco Pellegrino ha fatto tris, mancavano molti big) e la sprint, ahinoi, per rispettare l’alternanza sarà in tecnica classica. «Il nostro Mondiale dipenderà molto da Federico, che avrà anche la Team Sprint in skating. Ma c’è Clara, che ha vinto sul Cermis, c’è De Fabiani, che arriva sempre nei dieci e, vedrete, ci darà soddisfazioni. Sarà difficile però io vi prego: non facciamo sempre paragoni con gli anni d’oro del fondo, non è giusto, Torino 2006 (due ori e due bronzi ndr ) è passato remoto, è cambiato il mondo e sono cambiati anche i nostri atleti. Di quella generazione di fenomeni è rimasto solo Giorgio Di Centa, che a 42 anni a Falun farà la 50 km. Lavoriamo sul quadriennio olimpico che culminerà a PyeongChang 2018: dateci tempo. L’obiettivo è ridare appeal al fondo tra i ragazzi andando nelle scuole e far crescere il livello generale di tutti. Se torneremo da Falun senza medaglie criticateci, ma non toglieteci fiducia».
Capitolo Pittin, doveroso: «Qualcosa di misterioso, forse paura inconscia dopo gli infortuni, mina i suoi salti. Sui trampolini grandi si blocca, nel fondo è un drago. Non abbandoniamolo: rinascerà». Parola del Sepp, che ha quasi trovato la sciolina giusta.