Corriere della Sera, 26 gennaio 2015
«Lo Stato ci lasciò soli». La protesta di Anna Bulgari Calissoni, la donna che vide tagliare l’orecchio al figlio dai rapitori nel 1983, scrive al ministro Gentiloni. Intanto Roncone ripercorre la cronaca di quei 36 giorni
Caro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, gli accadimenti di questi ultimi giorni mi inducono a scriverle quanto segue. Nel 1983, e precisamente il 19 novembre, fui vittima di un rapimento nella nostra casa di campagna assieme a mio figlio, Giorgio Calissoni. Non starò a descriverle l’orrore di quella prigionia: sempre bendati, con il terrore di essere uccisi, dormivamo legati e all’addiaccio ed eravamo obbligati a marce continue ed estenuanti. Soltanto coloro che hanno vissuto un’uguale sofferenza possono capire. La tortura assoluta fu vedere torturare mio figlio diciassettenne: davanti ai miei occhi, gli fu amputato l’orecchio destro per sollecitare il pagamento del riscatto. Fummo sequestrati per 36 giorni, che mai dimenticheremo.
Anna Bulgari Calissoni
*****
Cara signora Bulgari Calissoni, di fronte al dramma vissuto da lei e da suo figlio, e al riacutizzarsi di quella pena che la terribile attualità dei sequestri ha certamente provocato, sento innanzitutto di esprimerle vicinanza e solidarietà. Sono vicende che il tempo non estingue, come so anche da persone amiche che ne furono colpite.
Non spetta a me, da ministro degli Esteri, giudicare la linea di condotta seguita oltre 30 anni fa dalle autorità e dalla magistratura per contrastare con impegno e determinazione il banditismo sardo. Anche il terrorismo che si è diffuso sulla scia dell’11 settembre fa uso, in forme e modalità diverse, del sequestro di ostaggi. Ma il terrorismo islamico non è l’anonima sequestri, non lo si combatte allo stesso modo. Si tratta di una minaccia senza precedenti che si traduce addirittura nel tentativo di dar vita tra Iraq e Siria a uno Stato terrorista, il Daesh, che controlla un vastissimo territorio e si è impadronito di un enorme fiume di denaro. Questa minaccia va sconfitta innanzitutto sul piano militare, e l’Italia è in prima fila come ho ribadito tre giorni fa al vertice della Coalizione anti Daesh a Londra. Oltre che sul piano militare, il terrorismo di matrice islamista va sconfitto sul piano politico, coinvolgendo in questa battaglia senza ambiguità i governi dei Paesi a maggioranza islamica e le istituzioni musulmane in Europa.I sequestri di ostaggi italiani e occidentali da parte della galassia terrorista hanno avuto caratteristiche diverse da caso a caso. Negli ultimi dieci anni i nostri governi si sono comportati sempre allo stesso modo. Combattiamo il terrorismo sul terreno – inclusi i diversi canali di ingenti finanziamenti – e cerchiamo di salvare la vita ai connazionali attraverso le attività di intelligence nostre e dei nostri alleati. Queste attività hanno portato nell’ultimo anno solo in Siria al rilascio, oltre che delle due volontarie lombarde, di altri 8 ostaggi occidentali. Queste attività non possono che essere riservate. Lo sono state in questi anni per lavoratori di aziende italiane, giornalisti, cooperanti. Devono restare tali, con il sostegno di t utte le forze politiche. E sarebbe un gravissimo errore accreditare voci diffuse ad arte proprio da ambienti jihadisti. Ci sono aree del mondo in cui non si deve andare. Oggi non possiamo permetterci imprudenze. Ma ho trovato inaccettabili le accuse a Greta e a Vanessa di «essersela andata a cercare», accuse mai rivolte finora a nostri ostaggi liberati da zone altrettanto pericolose, nei confronti dei quali aveva sempre prevalso un sentimento di solidarietà. Quando riesce a salvare la vita di un proprio cittadino, e lo fa senza deflettere minimamente dall’impegno senza quartiere contro i terroristi, lo Stato compie il proprio dovere. Non sempre è possibile. Ma le lugubri decapitazioni sulla piazza del web non sono certo un esito da rivendicare per nessuno, se non per i terroristi e la loro ignobile propaganda. So di non aver risposto, cara signora Bulgari, al suo angoscioso interrogativo sulle scelte del 1983. Ho provato a spiegare, per quanto possibile, quelle di oggi.
Con i migliori saluti
Paolo Gentiloni*****
«La busta era chiusa. Al tatto, però, sentii che dentro c’era qualcosa di molle. Decisi di aprire: era l’orecchio di mio fratello Giorgio...».
( Laura Calissoni Colnaghi ha un lieve momento di incertezza, non proprio di commozione, ma è come se la voce le si spezzasse: sta ricordando i 35 giorni del sequestro di sua madre Anna Bulgari, che all’epoca aveva 57 anni, e di suo fratello Giorgio, diciassettenne. Rapiti la sera del 19 novembre 1983, furono rilasciati la notte di Natale. Lei, Laura, ebbe dalla famiglia l’incarico di negoziare con i banditi ).
«E negoziai in totale solitudine. Non ricevetti alcuna telefonata né dal presidente del Consiglio, Bettino Craxi, né dal ministro dell’Interno, che era Oscar Luigi Scalfaro. Solo i carabinieri si dimostrarono molto competenti e anche dotati di grande umanità. Quando sento che per la liberazione di quelle due ragazze, Greta e Vanessa, a trattare sono stati i nostri servizi segreti e a pagare sarebbe stato addirittura lo Stato, sono assalita da rabbia mista a disgusto. Noi fummo lasciati soli. E da subito».
«Quel 19 novembre era un sabato. Pochi minuti prima delle 19, mia madre Anna e mio padre Franco rientrano nella nostra tenuta di Aprilia, vicino a Latina. Scendono dalla Fiat 132 con le buste della spesa e si ritrovano davanti tre uomini. Hanno passamontagna e fucili. Mio zio Gianni, Gianni Bulgari, era stato rapito otto anni prima: mio padre pensa che sia impossibile un altro rapimento, pensa sia uno scherzo di qualche nostro contadino. Prova a dire con aria scherzosa: “Smettiamola, eh...”. Ma viene colpito in bocca con il calcio di un fucile. I banditi, che erano entrati nella tenuta fingendosi cacciatori di passaggio, rinchiudono i miei genitori e i camerieri in cucina. Mio fratello Giorgio è in un’altra parte della casa. Non si è accorto di niente. Poco dopo, in un corridoio, catturano anche lui. I banditi rubano quello che c’è da rubare: poi caricano mia madre nel bagagliaio della Fiat 132, mentre mio fratello viene fatto sedere sul sedile posteriore in mezzo a due di loro. Fuggono nella notte».
«Io facevo l’avvocato, avevo 29 anni, ero a New York. Mi avvertono, prendo il primo volo per l’Europa. Un po’ per attitudine professionale, e del resto l’altra mia sorella Francesca s’occupava d’altro, un po’ per carattere, assumo il comando delle trattative. Che partono immediatamente. I banditi fanno scrivere una lettera a mia madre con le condizioni per la liberazione. Tre miliardi di lire, all’epoca una cifra spaventosa, entro il 15 dicembre. In caso di ritardo, a uno dei rapiti verrà tagliato un orecchio e il riscatto, da consegnare entro Natale, salirà a 4 miliardi. Poi avrebbero cominciato a uccidere».
«Il 29 novembre arriva il primo contatto telefonico. All’epoca non esistevano cellulari, non c’erano computer. I banditi si erano fatti dare da mia madre i numeri dei telefoni di casa di alcuni nostri amici. Chiamano alle 7 del mattino, dicono: richiamiamo tra un’ora. La Procura, nei giorni passati, aveva minacciato il blocco dei nostri beni. Ma io non ci bado, e vado a questo appuntamento. La voce che sento ha un forte accento sardo, è la voce di uno che dice di chiamarsi “Riccardo”... in realtà, quando poi lo arresteranno insieme ai complici, scopriremo che si chiama Claudio Cadinu. Mi insulta, parla di capitalismo, credo provi a buttarla sul politico, e in effetti i rapitori avevano forse qualche contatto con il Mas, il Movimento armato sardo: però è un trucco che non funziona. Sono criminali, vogliono soldi. Punto».
«Io avrei pagato subito. Però la cifra è gigantesca e devo sentire la famiglia e gli azionisti della Bulgari. Per mio zio Gianni era stato pagato un riscatto di un miliardo e 300 milioni: qui la cifra è molto più alta e colgo, in qualche riunione familiare, l’invito – sia pure non esplicito – a trattare. È un errore. I banditi non pensano a un sequestro di quelli lunghi ed estenuanti: intendono chiudere tutto nel giro di qualche settimana, sono feroci, mantengono ogni minaccia. Ce ne accorgiamo il 17 dicembre, due giorni dopo la scadenza del primo ultimatum. Chiamano una nostra amica e le dicono di andare a ritirare una busta in un cestino della spazzatura. Quando la busta mi viene consegnata... va bene, l’ho già detto prima, è una roba che non si può descrivere. Ritrovarsi in mano l’orecchio di tuo fratello... Che poi... Che poi, poverino, glielo tagliarono senza anestesia, come fosse un’animale... Presero un coltellaccio da cucina e...».
«Convoco una riunione con tutta la famiglia al completo. Io e mio zio Gianni ci guardiamo fissi. Parlo io, e dico: “Zio, ora tiriamo fuori questi 4 miliardi”. Quando mi richiama quel Riccardo, il sardo, inizio a insultarlo: gli urlo di tutto... Poi, mi calmo, gli dico che okay, va bene, paghiamo. Ma prima che metta giù, gli faccio una domanda secca. “Ho la tua parola d’onore che i miei verranno liberati?”. Lo sento come colto in qualcosa di vivo, forse l’onore, forse – semplicemente – non se l’aspettava una domanda simile. Mi fa: “Hai la mia parola. Tre giorni dopo il pagamento, i tuoi saranno liberi”».
«A pagare non vanno, come per Greta e Vanessa, i nostri servizi segreti: ma due eroici miei amici. Che si avventurano con i soldi del riscatto contenuti dentro bustoni neri dell’immondizia a bordo di una Fiat 127. L’appuntamento è sull’Aurelia, all’altezza di Sarzana. Un uomo con una torcia li aspetta. Pagano, tornano a Roma, inizia l’attesa. Tre giorni terribili. Poi, la sera del 24, una telefonata: li hanno liberati a un chilometro da dove li avevano sequestrati. Li hanno tenuti sempre all’aperto, sotto una tenda. In catene. Costretti a lunghi trasferimenti nei boschi. Mia madre ha i piedi piagati, è terrorizzata. Mio fratello con la ferita dell’orecchio infetta. Però li abbiamo riportati a casa. Noi, da soli, con i nostri soldi. Noi, vorrei dire, italiani di serie B. Quelli che lo Stato non ha aiutato».
( Otto banditi furono arrestati e condannati a 140 anni di carcere.
La signora Anna Bulgari oggi ha 88 anni.
Suo marito Franco Calissoni è deceduto nel 2001.
Suo figlio Giorgio fa il notaio a Roma, l’orecchio gli fu ricostruito negli Stati Uniti con cinque interventi.
Sua figlia Laura ha smesso di fare l’avvocato ed è un’imprenditrice di successo ).
Fabrizio Roncone