Corriere della Sera, 26 gennaio 2015
Quel pasticciacio delle primarie liguri, tra patti segreti e alleanze pericolose
«Io sono quello fermo al centro del portone principale». L’immagine che resta delle primarie liguri del Partito democratico è un ragazzo di 27 anni iscritto al Pd dalla sua fondazione, costretto a dare appuntamenti in incognito davanti alla chiesa di Santa Maria Assunta a Sestri Ponente, come fosse un moderno Buscetta.
La colpa del ragazzo, che fa volontariato anche nel sociale e campa dando ripetizioni di matematica, è quella di aver fatto il suo dovere. Al mattino dell’11 gennaio, giorno del giudizio sul candidato Pd alla presidenza della regione Liguria, è lui ad aprire il gazebo in piazza Petrella, dove si svolgeranno le votazioni per la circoscrizione di Certosa. Tra le 10 e le 12.30 nota una grande affluenza di gente mai vista alle precedenti primarie. Prima di entrare sotto la tenda a chiedere la scheda, i novizi si fermano a parlare con alcune persone che stazionano in pianta stabile davanti al gazebo. Nel gruppo c’è Umberto Lo Grasso, ex consigliere comunale dell’Italia dei valori, rinviato a giudizio con l’accusa di aver raccolto nel 2010 firme false per conto di una lista collegata al presidente uscente, poi rieletto, Claudio Burlando. Altri due sono membri di una famiglia che appartiene alla folta comunità siciliana del ponente genovese, con precedenti penali per spaccio di droga e furto. La sua denuncia riscuote un certo interesse da parte del Servizio centrale operativo della Polizia, che da tempo indaga sulle infiltrazioni mafiose in quella zona e arriva ad offrire al ragazzo una protezione, quasi fosse un testimone di giustizia.
Il valore giuridico e giudiziario delle primarie, liguri e non solo, è pari a quello dell’elezione del presidente di un qualunque circolo del tennis. La vittoria malata di Raffaella Paita non sarà certo cancellata dalle procure, come spera qualcuno. Il problema è solo politico, così grande da aver trasformato in questione nazionale una faida interna al Pd con l’uscita del candidato perdente Sergio Cofferati dal partito. E pazienza se in tutto questo il futuro della Liguria, la regione settentrionale che più di tutte ha sentito la crisi, con dati di produzione e reddito che ormai ne fanno un avamposto di meridione nel nord ovest d’Italia, non sembra interessare più di tanto i contendenti.
La Liguria è stata forse la regione più impermeabile al nuovo corso di Matteo Renzi. Una questione di età media dei militanti Pd, la più alta di tutta Italia, della loro provenienza, stimata nel 70 per cento di ceppo ex Pci dagli uffici amministrativi delle quattro segreterie provinciali, e anche dei disastri giudiziari e non solo combinati dagli ex Margherita confluiti nel Pd. Claudio Burlando diventa renziano dopo le elezioni politiche del 2013. Nel febbraio del 2014 il cuperliano Giovanni Lunardon vince le primarie per la segreteria regionale battendo il candidato burlandian-renziano Alessio Cavarra, oggi coordinatore della campagna elettorale di Paita. La relazione che gli garantisce una risicata maggioranza al congresso accusa Burlando di aver svolto nel suo secondo mandato di presidente della Regione il ruolo di sindaco della Liguria,saltando corpi intermedi e parti sociali, dialogando solo con i primi cittadini non importa di quale colore, ai quali avrebbe indirizzato le risorse comunitarie invece di destinarle alla tutela del territorio. La franceschiniana Roberta Pinotti figura tra i sostenitori di Lunardon.
Il nuovo segretario regionale cuperliano non si è ancora insediato che la renziana Raffaella Paita, giovane assessore alle Infrastrutture e delfino di Burlando, brucia i tempi annunciando la sua candidatura alla presidenza della Regione. È una successione designata ma non concordata. L’11 novembre, dopo le ultime alluvioni, Lunardon e Burlando vanno a Roma dal vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini. Lunardon chiede di evitare l’ordalìa e la scelta di un candidato concordato che non scavalchi il partito. Burlando si impunta, c’è già una candidata in campo, quindi le primarie vanno fatte. All’incontro sono presenti anche Andrea Orlando, spezzino come Paita, ministro della Giustizia, che si dice d’accordo con il segretario regionale, e Roberta Pinotti, genovese, ministro della Difesa, più favorevole alla tesi del governatore. Guerini prende atto della divisione. «Trovatene un altro e fate queste primarie».
Quando i vertici del Pd regionale gli chiedono di scendere in campo, Sergio Cofferati non sa che il lavoro di presunto inquinamento del voto che denuncerà come causa della sua sconfitta è cosa fatta. Burlando ha messo a disposizione di Paita la sua rete di sindaci tanto criticata dal Pd regionale. Nell’estate del 2014 c’è un salto di qualità nella pesca a strascico fatta nel Ponente orfano di Claudio Scajola. In quei giorni l’ex vicesindaco di Albenga e gran rastrellatore di voti Roberto Schneck lascia Forza Italia e mette i suoi talenti a disposizione di Paita. Alle primarie diventerà il principale indiziato dei cinesi e delle squadre di calcio al seggio. Il diretto interessato tace ma non nega una potenza di fuoco che si aggira tra i 600 e i 900 voti. Anche l’accordo che porta il sindaco di Albisola Franco Orsi, senatore berlusconiano ed ex fedelissimo di Scajola ad appoggiare Paita risale a quella data.
«Il danno più grande è derivato certamente dalla dimostrata capacità di condizionamento degli organi (Consigli regionali e comunali) nei quali sono stati eletti esponenti politici che hanno goduto di un appoggio dei gruppi criminali». Nelle motivazioni appena depositate della sentenza sulla ‘ndrangheta nel Ponente ligure i nomi del coordinatore ligure del Nuovo centrodestra democratico Eugenio Minasso e del capogruppo in regione Alessio Saso appaiono nell’elenco degli «eletti che hanno cercato e accettato l’appoggio dei gruppi criminali». L’alleanza con due personaggi comunque mai indagati risale a dicembre, come conferma lo stesso Minasso, che fino all’ultimo ha cercato l’accordo con il Pdl.
Forse Cofferati è stato sopravvalutato. Dopo il suo ingresso in scena l’attività di Paita, e di Burlando, diventa frenetica, al punto che sulle primarie aleggia anche un ricorso alla Corte dei conti che denuncia l’uso di strumenti e luoghi istituzionali per fini politici privati. L’assessore alla Sanità Claudio Montaldo viene scavalcato da una leggina natalizia che conferisce ai primari liguri la possibilità di esercitare nel privato fuori dalla regione di appartenenza, poi congelata dopo le sue proteste. Passano pochi giorni e l’assessore incrocia all’ingresso della Regione una delegazione di sindacalisti medici e paramedici. «Cosa ci fate qua?» chiede Montaldo. «Ci hanno chiamato Burlando e Paita».
Senza Genova non si vince. Nel 2010 la coalizione che sosteneva Burlando ottenne il 51,2%, e di questi voti il 57 per cento giunse del capoluogo e dalla sua provincia, laddove Cofferati ha battuto Paita 67 a 33%. Lo studio dei flussi di queste disastrose primarie commissionato dal Pd ligure rivela come Cofferati si sia aggiudicato il voto d’opinione delle città, tranne che a La Spezia, ma sia crollato nei piccoli comuni, dove invece prevale il voto organizzato. La spaccatura territoriale è così forte da mettere a rischio anche la vittoria annunciata di Paita alle elezioni di maggio. «Non è dei nostri». Nei circoli genovesi l’atmosfera è cupa. C’è un rifiuto quasi antropologico di quel che Paita rappresenta agli occhi degli storici militanti del Pd, terribile contrappasso per una donna che ha la tessera del Pci dalla maggiore età. Bolzaneto e Pontedecimo, le sezioni con più iscritti hanno chiesto l’annullamento delle primarie, seguiti da molte associazioni. Da buon cinese, Cofferati aspetta sulla riva del fiume. L’alternativa annunciata di una candidatura a sinistra del Pd forse non vincerà ma può far perdere il Pd. Burlando si gode una vendetta amara. Il partito chiede di escludere alleanze con il centrodestra, ma la lista dei creditori è sterminata. Paita annuncia «Galattica», una convention genovese. Intanto il ragazzo di Sestri Ponente è costretto a nascondersi. Povera Liguria.