La Stampa, 26 gennaio 2015
Con Syriza si apre una nuova via per la sinistra europea. Una vittoria che sembra anticipare la cavalcata di Podemos in Spagna e che si rifletterà sugli imbarazzanti equilibri della politica di Renzi
La Grecia è di Tsipras. E si schiera apertamente a sinistra. Un inedito nell’Unione europea. L’elemento evocativo di questo successo di Syriza e del suo energetico leader, l’immagine che rimbalza alla mente, precipita da un archivio di quarant’anni fa.
Da Berlinguer al 2015
E ha un titolo: Eurocomunismo. È il 1976. Enrico Berlinguer è il padre di un progetto che tiene assieme la nuova sensibilità del Pci e dei comunisti francesi e spagnoli. Persino di quelli inglesi. Solo che stavolta, gennaio 2015, lo schema è rovesciato. Se l’eurocomunismo era un segno di occidentalizzazione, di distacco da Mosca, e dunque di moderazione e di integrazione in un mondo destinato a una progressiva crescita sociale ed economica – l’esplosione del ceto medio – questa vittoria di Tsipras, che sembra anticipare la cavalcata di Podemos in Spagna e si rifletterà sugli imbarazzanti equilibri della sinistra italiana, è un segno di radicalizzazione fondato sulla valutazione opposta: il ceto medio si sta sgretolando.
Il Capitale del XXI secolo
Non è più uno scontro novecentesco tra destra e sinistra, ma, dice Thomas Piketty – economista francese autore di un clamoroso successo editoriale («Il Capitale nel XXI secolo») – tra Capitale, appunto, e Diritti fondamentali. Tra Popolo e Banche. Tra il rigore dell’eurocrazia e della finanza e il disagio sociale sempre più profondo. Semplificando è il braccio di ferro tra cittadini e la casta dei banchieri e di chi li sostiene.
Il successo di Syriza apre uno scenario complicato che mette in discussione l’Europa della stabilità e del rigore e ridà fiato a populismi buoni e cattivi, che fino a qualche anno fa si sarebbero identificati con la destra e con la sinistra sociale. Ma soprattutto riapre il dibattito su cosa l’Europa voglia da sé. «Noi siamo l’argine contro la vittoria del lepenismo e della xenofobia», dice Tsipras accompagnato dalle note di «Bella Ciao». Lo folla lo acclama. Premiandolo con una adulazione assoluta acritica e idolatra, come se avesse lui il compito di sostenere gli astri del firmamento e di evitare l’apocalisse. E lui, rivolgendosi all’Europa aggiunge: «Da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo bisogno di voi». Ma di voi chi?
Per capire fin dove arrivi l’onda lunga del voto greco ci si deve spostare in Germania dove Katja Kipping, leader di Die Linke (partito di sinistra che ha sorprendentemente eletto Bodo Ramelow in Turingia) dice: «La vittoria di Syriza rappresenta l’inizio della primavera europea». Mentre Jens Weidmann, presidente della Bundesbank nemica di Draghi, indifferente all’idea di crescita condivisa e terrorizzata dalla parola flessibilità, dichiara: «Ora la Grecia rispetti gli impegni». Paghi il debito. Onori i patti. Il contrario del progetto Tsipras, fatto di mora sul debito, reddito di cittadinanza e contratti collettivi. Ricorda Grillo? Eppure è l’opposto. Perché più erudito. E soprattutto collegato all’Europa movimentista e progressista. Non allo Ukip di Nigel Farage.
La sinistra e Renzi
«Cantiamo Bella Ciao perché l’Europa da oggi è libera», esulta ancora il capo di Syriza che pure, a sorpresa, cita tra i suoi punti di riferimento anche Matteo Renzi. Che all’estero, a differenza di quello che avviene in Italia dopo il Jobs Act, viene ancora visto come un leader eversivo, pronto a fare a spallate con la burocrazia di Bruxelles. Un Renzi che – mentre Draghi convoca un incontro con Juncker, Tusk e Dijsselbloem, confermando che il risultato elettorale greco riguarda tutti – fa sapere di non essere lui ad avere bisogno di Tsipras («Piuttosto è vero il contrario», ma lo dice in modo vago, dubitando della veridicità di quella affermazione) e intanto invia Gennaro Migliore, a stabilire un contatto profondo.
Il presidente del Consiglio si sente rappresentato dalla foto dei più riflessivi Eurodem di Bologna (lui, e i socialisti spagnoli e francesi Sanchez e Valls). Ma sa che da ieri il baricentro della politica intercontinentale è scivolato più a sinistra, all’ombra di un albero che pianta le sue radici in Grecia e si ramifica in Spagna, in Germania, forse un po’ meno in Francia, ma certamente anche in Italia. Un albero che si nutre non più di un malcelato e aggressivo senso di antieuropeismo ma semplicemente, ed è tutto qui il pericolo eversivo, dell’idea di un’altra Europa. Diversa. Meno affari e più politica.