23 gennaio 2015
Toto-Quirinale: a una settimana dal voto Renzi tiene ancora coperte le sue carte, mentre il centrodestra ha proposto Antonio Martino per i primi tre scrutini. Amato e Casini i nomi su cui punta con più convinzione Berlusconi. Stabile Mattarella, scendono Finocchiaro e Veltroni, risalgono Padoan e Visco
Il meglio dai giornali di oggi sulla corsa per il Quirinale.
Sette giorni all’alba della prima votazione per il nuovo inquilino del Quirinale. Al tavolo di Matteo Renzi si ragiona di nomi, profili ma soprattutto di numeri. Sulla carta Pd, Ncd, centristi e Forza Italia possono contare su 750 grandi elettori, un numero teoricamente sufficiente ad eleggere il Capo dello Stato già al primo scrutinio, quando serviranno i due terzi dei voti, e cioè 673. In realtà però le fratture nei due principali partiti sconsigliano di avventurarsi in una missione così rischiosa, segnata com’è dal voto segreto e dai possibili franchi tiratori. Meglio mettersi al sicuro uscendo allo scoperto con il candidato “vero” solo alla quarta votazione, quando il quorum richiesto scenderà a 505 voti [Mariolina Sesto, S24].
L’impressione un po’ sorprendente è che a oggi il centrodestra abbia una strategia per il Quirinale, il Pd non ancora. Meglio: ce l’ha probabilmente Matteo Renzi, ma è circondato da un partito in ebollizione, che sembra incline a rendergli la vita difficile. Anche se ieri l’ex segretario Pier Luigi Bersani, considerato il vero punto di riferimento della minoranza, assicura lealtà sul Quirinale.
Ed esclude sgambetti nel segreto delle urne come quelli avvenuti nel 2013 [Massimo Franco, Cds].
Ad una settimana dall’inizio delle votazioni, Forza Italia, Ncd e Udc hanno indicato come candidato di bandiera per i primi tre scrutini l’ex ministro Antonio Martino, facendo capire così di avere ben chiari i passaggi che dovranno affrontare [Massimo Franco, Cds].
L’impressione è che Renzi tirerà fuori il nome del suo candidato solo all’ultimo minuto, ovvero nell’assemblea dei grandi elettori del Pd mercoledì sera o giovedì mattina (si comincia a votare nel pomeriggio). Quel nome, sussurrato nelle ore precedenti, può far capire da che parte pende il segretario: se per una riconciliazione nel Pd o per la tutela dell’asse con Berlusconi. E scatenare il fuoco. Renzi racconta ai suoi collaboratori che il Cavaliere gli ha fatto due nomi: Casini e Amato. «Se scegli uno dei due chiudiamo in 24 ore», sono state le pa- role del leader di Forza Italia. «Già – commenta il premier -. Ma io non mi faccio imporre da lui sia il nome di un candidato del Ppe (Casini) sia di quello del Pse (Amato)» [Goffredo De Marchis, Rep].
È ancora in piedi la candidatura di Sergio Mattarella. Con loro reggono, nel valzer dei nomi, i nomi dei politici puri: Anna Finocchiaro, Piero Fassino, Walter Veltroni che stanno recuperando terreno. Un amico personale di Renzi spiega la strategia: «A Matteo interessa il risultato, più del nome. Non vuole rimanere impantanato in una serie infinita di votazioni». È uno schema che esclude il solo Prodi a causa del veto insormontabile di Berlusconi. Ma tiene in pista praticamente tutti gli altri (numerosi) papabili [Goffredo De Marchis, Rep].
Ieri poi è tornato a girare il nome di Graziano Delrio: un modo per coprire l’asse del Nazareno (o per chiarire a B. che Matteo si tiene le mani libere) [Wanda Marra, Fat].
Da registrare che ieri Walter Veltroni è stato visto entrare a Palazzo Giustiniani, dove si trovano gli uffici dei senatori a vita fra i quali Napolitano e del presidente del Senato, Grasso, che in questi giorni svolge le funzioni di supplente del Capo dello Stato [Marco Conti, Mes].
Una voce che gira da giorni, ma tra i banchi della sinistra, dove il clima è pessimo, è che dalla rosa ufficiale del Pd a questo punto sarebbero esclusi tutti gli ex segretari del partito. Verrebbero così tagliati fuori nomi come Veltroni, Francheschini e Bersani (magari pure Fassino che guidò i Ds) mette tutti in agitazione. Anche perché non è un mistero che il centrodestra non gradirebbe tecnici, ministri di area ed ex segretari. Insomma non certo un buon viatico per ricucire l’unità del Pd andata in pezzi sull’Italicum [Carlo Bertini, Sta].
Per quanto riguarda la minoranza del Pd una mossa tattica potrebbe essere quella di votare Romano Prodi nei primi tre scrutini, sperando che si accodino i grillini, i fittiani e tutti quelli contrari al Patto del Nazareno, per mettere Renzi di fronte al fatto compiuto: se l’ex presidente della Commissione europea raccoglie 150 voti, come farà Matteo a non convergere? E Prodi, ci starebbe? «Lui non vuole essere messo in mezzo – sostiene Sandra Zampa, deputata Pd e sua storica portavoce – Certo, se glielo chiedessero per spirito di servizio...» [Massimiliano Scafi, Grn].
In realtà il grosso della minoranza difatti preferisce puntare le sue fiche su Giuliano Amato, uno dal profilo forte, in grado di bilanciare lo strapotere di Palazzo Chigi. Il Dottor Sottile, sostenuto energicamente da bersaniani e dalemiani, sponsorizzato da Usa, Europa, Napolitano, mandarini vari, è anche nella lista di Berlusconi insieme a Casini e alla Finocchiaro. Amato, secondo alcuni calcoli, è anche sulla carta il candidato più forte, quello che al quarto scrutinio può farcela con minori patemi, con 570-600 voti [Massimiliano Scafi, Grn].
Ha fatto sapere ieri il senatore dissidente Corradino Mineo, nel corso della trasmissione di La7 L’aria che tira: «Io personalmente non voterei Anna Finocchiaro, se venisse candidata al Quirinale, e penso proprio che Bersani farà lo stesso» [Maria Teresa Meli, Cds].
Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto, ha una sua teoria sul voto per il Colle: «Il primo criterio di Renzi è la novità: non può essere un nome del passato. Quindi Amato e Prodi non si facciano illusioni. Mattarella? Ma se lei va a domandare lì dentro (indica l’aula, ndr) chi è Mattarella, le rispondono: chi, il cugino dell’onorevole Mattarellum?». «Secondo: non può essere una persona dotata di autonomia, uno che domani gli dica: no, questo schifo di decreto non te lo firmo. Deve essere uno collaborativo. Terzo, dev’essere uno dotato di una decenza istituzionale. Allora, togliamo quelli come Gentiloni o come la Pinotti, che qui dentro sarebbero vissuti come delle appendici di Renzi. Togliamo quelli che rimarrebbero vittime delle faide antiche. Resta una sola possibilità: uno che viene da fuori». Conclusione: «Padoan o Visco. Basta. Finito. Non ci sono altri nomi» [Sebastiano Messina, Rep].