23 gennaio 2015
Che cos’è, come funziona e come cambierà la nostra vita il piano di Quantitative easing da 1.140 miliardi lanciato ieri da Mario Draghi. Si parte con 60 miliardi al mese per comprare titoli di Stato fino a settembre 2016 e fino a quando l’inflazione non risalirà. Dovremmo così avere prestiti, esportazioni e debiti meno cari. In caso di perdite, la Bce condividerà solo il 20% delle perdite, il resto alle banche centrali nazionali
Il meglio dai giornali di oggi sul piano di Quantitative easing della Bce presentato ieri da Mario Draghi.
Millecentoquaranta miliardi, sessanta miliardi ogni mese per 19 mesi. È una cifra impressionante quella che la Banca centrale europea ha promesso di acquistare ieri per bocca di Mario Draghi, lanciando il tanto atteso programma di Quantitative Easing.
È quasi il doppio delle più ottimistiche aspettative degli analisti, che puntavano sui 600 miliardi in un anno e mezzo. [Riccardo Sorrentino, S24].
«Troppo tardi» hanno subito detto scettici e oppositori, in buona parte tedeschi: «I tassi d’interesse sono già bassi». «Meglio tardi che mai» hanno ribattuto quelli che il Quantitative easing lo reclamano da anni, soprattutto anglosassoni: «L’economia europea ha bisogno di una sferzata, anche psicologica». Ma il Qe non è solo parole: sono 1.140 miliardi di euro già sicuri, che potrebbero essere molti di più, perché Draghi ha detto che ci si fermerà solo con l’inflazione in vista del 2%. La caduta dell’Europa in deflazione ha reso possibile una svolta storica, rivoluzionaria, che proietta la Bce su un terreno finora proibito [Maurizio Ricci, Rep].
Ma che cos’è il Quantitative easing? Significa letteralmente «allentamento quantitativo» ed è una misura di politica monetaria eccezionale, o non convenzionale, finalizzata a immettere liquidità nel sistema per rimettere in moto la crescita. In che modo? La Bce crea nuova moneta per comprare beni finanziari di un Paese, come ad esempio i titoli di Stato. Questo processo ha l’obiettivo di aumentare direttamente la spesa del settore privato per rilanciare appunto l’economia e riportare l’inflazione al target previsto dalla Bce che nell’Eurozona è vicino al 2% (oggi invece la media è -0,2%, dati di dicembre) [S24].
Il Qe è l’equivalente della tosatura di oro e argento dalle monete nelle monarchie di una volta o della stampa di carta moneta in tempi più recenti. Ora la moneta è elettronica, un bonifico via Internet, ma il risultato è lo stesso. La teoria dice che farà ripartire i prezzi e l’inflazione. Il paradosso è che potrebbe non riuscirci [Maurizio Ricci, Rep].
Come detto, il piano di acquisti della Bce nel complesso vale 1.140 miliardi, con acquisti mensili da 60 miliardi a partire da marzo 2015. Nel conto ci sono anche i programmi di acquisto di titoli cartolarizzati (Abs e Covered bond) già attivi, quindi la somma aggiuntiva è di 47 miliardi al mese. Gli acquisti proseguiranno «almeno fino a settembre 2016» o quando l’inflazione tornerà nella norma, che per la Bce equivale a una crescita annuale del 2 per cento [Stefano Feltri, Fat].
Come funziona questo programma di acquisto di titoli di Stato? Innanzitutto, le operazioni saranno condotte sul mercato secondario: non durante le aste lanciate dai singoli Stati, ma successivamente, quando i privati che hanno comprato Btp italiani o Bonos spagnoli (per citare due esempi) decidono di rivenderli prima della scadenza [Giovanni Stringa, Cds].
Verranno comprati soprattutto bond di Stato, ma non solo. Saranno acquistate anche obbligazioni delle istituzioni sovranazionali europee. Il piano include la prosecuzione delle operazioni di acquisto di titoli cartolarizzati (Abs) e garantiti (covered bond). La ripartizione, secondo le stime dei ricercatori di Unicredit, potrebbe essere la seguente: 5-10 miliardi in titoli privati (cartolarizzati e garantiti), 45 miliardi in bond pubblici nazionali e il resto in obbligazioni delle istituzioni europee sovranazionali [Giovanni Stringa, Cds].
Le operazioni di acquisto previste dal Quantitative easing avranno poi i due tetti seguenti: non si potrà comprare più del 25% dei titoli messi in circolo con ogni emissione. E non potrà essere acquistato più del 33% del debito pubblico di un singolo Paese, inclusi i titoli di Stato già in pancia alla Bce. Entreranno nel programma solo titoli considerati «investment grade» (quindi non al livello “spazzatura”) da almeno una delle principali agenzie di rating. Ma sono previste eccezioni per i Paesi che si trovano sotto un programma di assistenza internazionale e che ne rispettano le indicazioni. Lo sguardo è rivolto alla Grecia: potranno essere acquistati anche titoli di Stato ellenici se il Fondo monetario, attraverso le diverse «review», considererà Atene in linea con le condizioni previste dal piano [Ugo Bertone, Lib].
Il punto non è tanto chi acquisterà i titoli, se la Bce o le banche centrali, quanto chi si farà carico dei relativi rischi. Concentriamoci quindi sui bond pubblici (europei o nazionali): solo il 20% sarà comprato in un regime di condivisione del rischio, a carico dell’eurosistema, mentre il restante 80% peserà sulle spalle delle banche centrali nazionali. E visto che, di questo 20%, un 12% sarà composto da titoli emessi da istituzioni europee, la quota di titoli di Stato nazionali soggetti a mutualizzazione si ferma all’8% [Giovanni Stringa, Cds].
Questo era uno dei punti controversi. Molti analisti dicevano che il programma poteva essere credibile solo se il rischio di un eventuale mancato rimborso dei bond comprati, frutto di una bancarotta di uno Stato o di una ristrutturazione (allungamento delle scadenze o taglio degli interessi), fosse accollato soltanto a Francoforte. I tedeschi si opponevano perché temevano che questo significasse esporre i contribuenti tedeschi al rischio di subire perdite superiori alla loro “quota” di impegno europeo: la Germania ha il 17 per cento del capitale della Bce, ma si sarebbe trovata a essere di fatto il garante di ultima istanza perché è l’unico Paese forte abbastanza da poter aiutare gli altri in difficoltà. Draghi ha trovato un compromesso [Stefano Feltri, Fat].
Ecco la catena di effetti positivi che si aspetta Draghi. Il primo è l’irrobustimento delle finanze pubbliche dei Paesi più deboli che vedranno ridursi gli interessi sui loro titoli, grazie alla nuova domanda, e svanire le paure di attacchi speculativi, dato che c’è la Bce con la sua potenza di fuoco in campo. Ma il rastrellamento di titoli pubblici spinge anche i fondi e le assicurazioni che li hanno venduti a comprare altri titoli, azioni o obbligazioni, facendo salire anche quei prezzi e generando così un profumo di “effetto ricchezza” [Maurizio Ricci, Rep].
Non finisce qui: il rialzo dei prezzi di titoli pubblici e privati messo in moto dal Qe rende quei titoli meno appetibili sul mercato internazionale. Gli investitori preferiranno impiegare i loro soldi altrove. Dunque, venderanno euro per comprare altre valute. L’euro si deprezzerà, ma un euro meno caro favorisce le esportazioni. Il risultato combinato dell’”effetto ricchezza” e dell’export più vivace è uno stimolo che dovrebbe rianimare l’economia, fermare la caduta dei prezzi e riavviare un po’ d’inflazione. Questo dice la teoria. Non è detto che funzioni [Maurizio Ricci, Rep].
Va ricordato poi che gli effetti del Quantitative easing passano anche sugli istituti di credito. E non solo perché i rendimenti dei titoli di Stato (già ridotti a minimi ma attesi ora in ulteriore discesa) sono un punto di riferimento per i tassi sui prestiti. Ma anche perché le banche sono i principali venditori dei titoli acquistati per motivi di politica monetaria. Grazie al Qe, i bilanci degli istituto possono liberarsi di Btp, Bonos o Bund per acquistare attività più rischiose, e quindi fare più prestiti a imprese e famiglie. Questa è la scommessa e negli Usa ha funzionato. In Eurolandia, però, il timore è che le banche tornino a riempirsi di titoli di Stato. Senza contare che in Europa, e in particolare in Italia, il principale canale di finanziamento all’economia resta proprio il sistema bancario (quasi l’80%) e non il mercato dei capitali. Se il bazooka di Bernanke ha funzionato è perché negli Usa il 70% dei finanziamenti alle imprese passa dai bond e quindi acquistare titoli di Stato, abbassando i tassi su tutte le scadenze, ha effetti immediati anche sull’impennata dei prestiti alle imprese [Roberta Amoruso, Mess].
Insomma, il Qe si traduce in un poker di rilevanti vantaggi: 1) la riduzione dei tassi di interesse e dello spread che, secondo gli analisti, è destinata a scendere presto sotto i 100 punti base, come del resto hanno già fatto i Bonos spagnoli; 2) la pulizia di bilancio delle banche, ancor più importante in chiave italiana. Il vero macigno che frena il sistema sono i 184 miliardi di sofferenze (a fronte di un valore di realizzo di 88) che hanno finora drenato i soldi in arrivo da Francoforte. Il Qe potrebbe sbloccare in parte la situazione. La maggior liquidità (anche quella in arrivo da fuori) potrebbe favorire lo shopping di partite incagliate o sofferenze, secondo un meccanismo che in Usa ha funzionato; 3) l’inflazione non si mangerà la crescita. Anzi, la deflazione resta il pericolo pubblico. Ogni spinta all’aumento dei prezzi, insomma, servirà a riportare un po’ di fiducia. Purché il governo sfrutti l’occasione; 4) le imprese, infine, possono accelerare il passo [Ugo Bertone, Lib].
Ma quali sono i benefici potenziali diretti per l’Italia? Il nostro Paese ha in circolazione 1.670 miliardi di euro di debito pubblico che rientrano nei criteri della Bce. Francoforte ne può comprare fino a 418 miliardi, secondo i calcoli di Société Générale [Stefano Feltri, Fat].
Andando sul piano pratico, prendendo ad esempio i mutui per la casa, è arduo ipotizzare ulteriori diminuzione dei tassi, perché i parametri di indicizzazione sono ai minimi storici. Ieri l’Euribor (il tasso interbancario che fa da base per i mutui variabili) è finito addirittura a zero sulla scadenza mensile. I migliori variabili oggi sono offerti sotto il 2%, i fissi sotto il 3,5%: non è escluso che le banche decidano di mettere un «pavimento» ai variabili per impedire discese eccessive. È vero che dovrebbero diventare più generose sul fronte delle risorse da destinare ai mutui. Ma gli spread (le maggiorazioni applicate ai tassi di mercato pari oggi al 2% circa) scenderanno ancora solo per i clienti migliori, quelli più solvibili. Un consiglio: se si trova oggi un fisso sotto al 3,5% vale la pena pensarci. Perché? Se entro due anni inflazione e tassi tornassero sul serio al 2%, un mutuo variabile da 120 mila euro a 20 anni vedrebbe la sua rata salire da da 613 a 797 euro. Scegliendo il fisso invece si continuerebbe a pagare lo stesso importo della prima rata e cioè 684 euro al mese. [Giuditta Marvelli e Gino Pagliuca, Cds].
Molti pensano che il Qe sarebbe stato assai più efficace uno o due anni fa, quando i tassi d’interesse erano più alti e l’offensiva della Bce, oltre agli effetti sul mercato dei titoli descritti prima, avrebbe anche ridotto il costo del denaro. Oggi, i tassi sono vicini allo zero, anche se margini di riduzione, nei tassi effettivamente praticati a imprese e famiglie, vi sono ancora. Tuttavia, quello che è vicino allo zero è il tasso nominale. Aggiungetevi il calo generalizzato dei prezzi e un prestito con un tasso nominale dell’1%, se c’è una deflazione dell’1 per cento ha un costo reale del 2%. Se il Qe fa salire i prezzi, tutto si rovescia. Un prestito con un interesse dell’1% e un’inflazione dell’1% ha costo reale zero [Maurizio Ricci, Rep].
Il Quantitative easing non è l’unica decisione presa ieri dalla Bce, che ha mantenuto invariato il tasso di riferimento allo 0,05%, ma ha abbassato quello applicato alle Tltro, le aste triennali di liquidità finalizzate ai prestiti per le aziende non finanziarie: a queste operazioni, che hanno cadenza trimestrale, sarà applicato lo stesso tasso principale dello 0,5%, senza la maggiorazione dello 0,10% (allo 0,15%) prevista finora. Restano in piedi inoltre tutti gli altri programmi della Bce: a cominciare dagli Omt, varati e mai lanciati: sono acquisti di titoli chiesti dai governi di Stati in difficoltà che si impegnano a rispettare rigorose condizioni. Per le Omt i rischi saranno, per la stessa natura dell’intervento, totalmente condivisi [Riccardo Sorrentino, S24].