La Stampa, 23 gennaio 2015
Addio a Franco Nicolazzi, ex segretario Psdi, re del sottopotere negli Anni Ottanta. Il mitico corsivista dell’Unità Fortebraccio l’aveva dedicata a un altro socialdemocratico, ma sarebbe stata buona anche per lui: «Si fermò una macchina, si apri la portiera, non scese nessuno. Era Nicolazzi»
Solo chi ha vissuto gli anni della Prima repubblica si ricorda chi era Franco Nicolazzi, morto ieri a quasi 91 anni. Era un socialdemocratico, nel senso di un dirigente del Psdi, il partito nato dalla famosa scissione socialista di palazzo Barberini del 1948 voluta da Giuseppe Saragat contro la scelta del leader del Psi Pietro Nenni di allearsi con i comunisti nel Fronte popolare alle elezioni di quell’anno (finite poi malissimo per la sinistra e benissimo per la Dc).
Nicolazzi, nato a Gattico nel Novarese, è stato partigiano nelle Brigate Matteotti. Un antifascista dunque e con il cuore che batteva a sinistra, almeno all’inizio della sua carriera politica. Poi, come molti compagni del suo partito, il cuore è stato sostituito dal potere, anzi dal sottopotere. E così Nicolazzi, che è stato anche segretario del Psdi e ministro prima dell’Industria e poi dei Lavori pubblici negli Anni Ottanta, ha partecipato alacremente a quella lottizzazione, spesso condita da tangenti (quelle sulle carceri d’oro gli sono costate la fine della sua carriera), che ha caratterizzato gli anni del governo del Pentapartito (Dc, Psi, Pri, Pli e appunto Psdi). Anni ruggenti per chi gestiva il potere, gli anni della «Milano da bere», uno slogan pubblicitario che sembrava fatto apposta per il magico mondo di Craxi. Un mondo nel quale Nicolazzi e tutto il Psdi si sono sempre trovati a loro agio, anche se non venivano riservati per loro posti in prima fila, non erano certo i protagonisti di quel film. Comprimari sì però. Di cui magari i leader più importanti di quel periodo, da Craxi a De Mita, da Andreotti a Forlani, si vergognavano un po’. Ma erano utili eccome, i loro voti per la fiducia al governo non mancavano mai. A condizione ovviamente che ci fosse qualche posticino al sole anche per loro, ministri non di prima fila ma comunque ministri, sottosegretari, presidenti di commissioni parlamentari, dirigenti di aziende pubbliche. E posti, come i voti, non mancavano mai. Di Nicolazzi ministro si ricordano tre iniziative, l’introduzione del principio del silenzio-assenso per le autorizzazioni richieste alla Pubblica Amministrazione, l’abrogazione della legge che vietava in Italia la costruzione di nuove autostrade e la realizzazione dell’autostrada A26, Genova Voltri-Sempione ribattezzata Genova Voltri-Gattico-Sempione per lo svincolo verso il suo paese. Che non è servito a nessuno, ad eccezione ovviamente di Nicolazzi stesso per il suo collegio elettorale e per quando tornava a casa in auto.
Impazzavano gli Anni Ottanta, Craxi tagliava la scala mobile, la Cgil e il Pci cercavano in tutti i modi di sbarrargli la strada (senza peraltro riuscirci), moriva Enrico Berlinguer due mesi dopo essere stato fischiato dal congresso socialista di Verona. De Mita dirigeva la Dc e si scontrava quotidianamente con il leader socialista fino a che non riuscì a sostituirlo al governo grazie al famoso patto della staffetta. Poi anche De Mita fu dimesso e la Dc finì nella mani di Arnaldo Forlani che con Andreotti e Craxi diede vita a un patto denominato Caf. Patto che guidò l’Italia fino al terremoto di Tangentopoli. E Nicolazzi era sempre lì, nei secoli fedele.
Il mitico corsivista dell’Unità Fortebraccio l’aveva dedicata a un altro socialdemocratico, ma sarebbe stata buona anche per lui: «Si fermò una macchina, si apri la portiera, non scese nessuno. Era Nicolazzi».