La Stampa, 23 gennaio 2015
«Non, je ne regrette rien». L’Elefantino ha fatto il suo tempo e lascia Il Foglio alla ciliegia di Claudio Cerasa. «È giusto rinnovarsi e rinnovare, io farò il collaboratore», dice Giuliano Ferrara. Una fase editoriale nuova, con tre edizioni online: «Non intendo un sito ma proprio un giornale che costerà 26 centesimi». E non è detto che non cambi anche la proprietà: «Arriveranno nuovi investitori, la famiglia Berlusconi deciderà che fare»
L’anno scorso si brindò alla maggiore età con il Krug. Settimana prossima, al diciannovesimo compleanno, il Foglio cambierà direttore: Giuliano Ferrara se ne va e lascia a Claudio Cerasa, 32 anni, formidabile cronista dell’Italia renziana, e tutto sembra avere un senso. Intanto il commiato ha ragioni «cronologiche», dice Ferrara, «è il tempo che passa: entriamo nel ventesimo anno del giornale che ho sempre diretto. È giusto rinnovarsi e rinnovare, io farò il collaboratore». Ma questa storia del crepuscolo berlusconiano e dell’alba renziana non è che lo convinca fino in fondo, perché «il Foglio è nato nel 1996 in quell’Italia plasmata dalle procure che la sinistra cercava di conquistare col mito delle sue mani pulite. Noi abbiamo preso il pelo della bestia e lo abbiamo pettinato in senso contrario. Siamo stati dichiaratamente un giornale berlusconiano, con la famiglia nella proprietà, ma ci siamo presi la libertà di criticare Silvio Berlusconi, di litigarci, di coniare il nomignolo Cav. Non siamo mai stati un house organ». Ecco, spiega: non lo saranno nemmeno da ora in poi, «anche se non si può nascondere che Cerasa è un cronista abile ed esperto di quella fase in cui il Pd ha trasformato sé in ciò che è oggi, ma soprattutto è uno che conosce il mestiere, che lavora qui da anni, molto garantista com’è nell’anima del Foglio».
È un cambio di mondo che presuppone un cambio di direttore. E non sarà mica una cosa finta. Cerasa avrà la leggendaria stanza di Ferrara, avrà la sua rubrica della posta in quarta pagina, non più siglata dall’elefantino ma dalla ciliegia. Per qualcuno sarà un colpo al cuore. Ma di nostalgia non si è mai campato, e poi il cambio di mondo e di direttore probabilmente comporterà anche un cambio nella proprietà: «Siamo in una fase editoriale nuova, ci saranno tre edizioni online, e non intendo un sito ma proprio un giornale che costerà 26 centesimi, anziché l’euro e mezzo del prodotto di carta. Non è escluso che ci saranno modifiche nella vecchia proprietà, arriveranno nuovi investitori, la famiglia Berlusconi deciderà che fare». E queste sono indispensabili questioni di altissima burocrazia, si tratta della sopravvivenza di un piccolo giornale d’opinione e di culto, amato e detestato, che sta facendo i conti coi contributi pubblici drasticamente ridotti e avviati all’azzeramento. Ma poi c’è anche la minuta e un po’ intima epica di una squadretta che ha percorso due decenni inebrianti, aperti con la contro-inchiesta su Mani pulite («la madre di tutte le campagne», dice Ferrara), che culminò in una sentenza della Cassazione che annullò tutte le querele di Antonio Di Pietro e in un’intervista in cui Gerardo D’Ambrosio disse che Bettino Craxi non aveva rubato per sé. «Le campagne sono state tante, le ricordo tutte volentieri, quella su Mordecai Richler e la sua Versione di Barney, che è diventato un best e un long seller, e che ha affermato uno stile e un modo di leggere i libri; quella contro il comune senso del pudore che ci portò a sventolare mutande in un teatro e a dire di noi che eravamo tutti puttane; quella sulla moratoria dell’aborto, a cui partecipò anche Cerasa. Abbiamo fatto un buon lavoro».
Certo, tante campagne, quella sulla democrazia esportabile dopo l’11 settembre, quella pro Ratzinger e mille altre, non sempre apprezzate, ma del resto non si conducono campagne per farsi apprezzare, semmai per sollevare qualcosa oltre il rasoterra. E infatti di errori ce ne sono stati, come è naturale, ma non si rinnega niente. Nessun pentimento, è andata così ed è andata bene. «Non, je ne regrette rien», dice Giuliano come Edith Piaf mentre riempie il primo scatolone.