la Repubblica, 23 gennaio 2015
Non si capisce la spensieratezza con la quale una nutrita schiera di vip abbia stabilito che Fabrizio Corona è il simbolo indiscusso della malagiustizia e della detenzione illecita; proprio lui e non altri detenuti noti e ignoti, non pochi dei quali inchiodati alla croce della carcerazione preventiva. Vedi il caso Scaglia
La reclusione in carcere è una condizione troppo seria perché se ne possa parlare con leggerezza. E chiunque abbia avuto in sorte di entrarci, anche solo per poche ore, ha tempo e modo di misurare che prezzo sia, per chiunque, la privazione della libertà personale. Proprio per questo non si capisce la spensieratezza con la quale una nutrita schiera di vip (uso il termine in tutta la sua vaghezza da rotocalco) abbia stabilito che Fabrizio Corona è il simbolo indiscusso della malagiustizia e della detenzione illecita; proprio lui e non altri detenuti noti e ignoti, non pochi dei quali inchiodati alla croce della carcerazione preventiva (ovvero in attesa di giudizio). Le condanne di Corona (corruzione, evasione fiscale, estorsione, bancarotta fraudolenta, guida senza patente, uso di denaro falso) non bastano certo a non desiderare che possa uscire presto dal carcere, e infine curarsi; è lo stesso sentimento che viene naturale nutrire per chiunque non sia un criminale sanguinario, ma un ordinario delinquente bisognoso di riscatto umano e riabilitazione sociale. Ma fa una certa impressione pensare che alla grande popolarità di Corona e della sua causa non abbia corrisposto – per fare solo un esempio – un dibattito altrettanto affollato sull’assurda carcerazione del manager Silvio Scaglia, tornato spontaneamente dagli Usa per farsi interrogare, arrestato ancora prima di essere sentito dal magistrato e infine assolto per non avere commesso il fatto. Quasi nessuno, in Italia, conosce il suo nome, quasi tutti il nome di Corona.