il Giornale, 22 gennaio 2015
Golpe in Yemen, il presidente Abed Rabbo Mansur Hadi è di fatto prigioniero nella sua abitazione. Gli insorti sono sciiti e la rivolta rafforza il fronte jihadista
I ribelli yemeniti sciiti Huthi, che da mesi chiedono una spartizione più equa del potere, si sono impadroniti di fatto dei vertici istituzionali di un Paese cardine tra Corno d’Africa e Penisola Araba. E che rischia sempre più di trasformarsi in una nuova Somalia. Stretto tra un’insurrezione, dietro cui alcuni vedono lo spettro iraniano, e il conseguente rafforzamento politico, militare e ideologico del jihadismo attratto dal progetto, finora vincente in Iraq e Siria, dello Stato islamico (Isis).
Il presidente Abed Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, è di fatto prigioniero nella sua abitazione circondata dagli insorti Huthi, un gruppo armato appartenente allo zaidismo, branca dello sciismo che nel nord ha le sue roccaforti e che conta un terzo dei 25 milioni di yemeniti. In serata, l’agenzia di Stato Saba, ormai sotto il controllo dei ribelli, ha annunciato un accordo tra gli insorti e il presidente, che avrebbe accettato di modificare la costituzione per allargare la presenza dei ribelli sciiti in parlamento e nelle istituzioni statali.
Il premier Khaled Bahhah, anch’egli rimasto assediato nella sua casa, è intanto riuscito a mettersi in salvo in un «posto sicuro». L’esercito e i servizi di sicurezza, in parte ancora fedeli al deposto presidente Ali Abdallah Saleh, rischiano di spaccarsi in due.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito l’altro ieri in una seduta straordinaria. E all’unanimità ha condannato le violenze, invocato un cessate il fuoco e ribadito che il presidente Hadi rappresenta l’autorità legittima nel Paese. Analogamente, rappresentanti del Consiglio di cooperazione del Golfo, un’emanazione del potere saudita nella regione, hanno chiesto il ritiro degli insorti dal palazzo presidenziale.