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 2015  gennaio 22 Giovedì calendario

Il salvacondotto del 3 per cento riguarda solo 6mila imprese, ovvero lo 0,17 per cento del totale. Giorgio Sganga, presidente della Fondazione dei commercialisti: «È la prova evidente che la montagna ha partorito il classico topolino»

 Dell’ormai famosa soglia del 3% che fa scattare l’impunità per alcuni reati tributari si è detto di tutto ma in pochi sanno davvero come funziona e chi riguarda. Il nuovo decreto prevede la non punibilità quando l’importo delle imposte sui redditi evasi non è superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato. Il testo descrive tre casi: la dichiarazione fraudolenta tramite altri artifici fiscali, la dichiarazione infedele (la più diffusa perché legata ad errori) e la dichiarazione fraudolenta tramite fatture false. Quest’ultimo però è un reato per il quale non esiste protezione e non è applicabile la soglia del 3%. 
Per quanto riguarda il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, la causa di non punibilità potrà scattare soltanto per le imprese che dichiarano redditi superiori a 1 milione di euro. Ma quante sono in Italia le aziende di questo tipo? La stessa Fondazione nazionale dei commercialisti, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha calcolato che su un totale di 3.811.168 imprese, quelle che hanno dichiarato un reddito di impresa superiore a 1 milione di euro e che quindi, in caso di contestazione del reato, potranno potenzialmente avvalersi della nuova causa di non punibilità, sono soltanto 15.329, pari allo 0,41% del totale. Una percentuale esigua destinata a ridursi ulteriormente per il reato di dichiarazione infedele. In tal caso, infatti, la causa di non punibilità del 3% potrà scattare soltanto per le imprese che dichiarano un imponibile superiore a 5 milioni di euro. Quante sono? Si tratta di una parte (non tutte) di quelle 6.320 imprese che dichiarano imponibili superiori a 2 milioni e 500 mila euro e che, in termini percentuali, rappresentano lo 0,17% del totale delle imprese. 
«È la prova evidente che la montagna ha partorito il classico topolino – commenta Giorgio Sganga, presidente della Fondazione dei commercialisti – se l’intento era quello di sgravare le procure e decongestionare i processi penali per reati fiscali, è chiaro che si tratta di un buco nell’acqua. Se gli obiettivi erano diversi ognuno tragga le sue conclusioni».