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 2015  gennaio 22 Giovedì calendario

Le Popolari volano in borsa. Rialzi fino al 27%, come nel caso della «piccola» Popolare dell’Etruria, strappi superiori al 10% per il Creval e la Popolare di Sondrio. Padoan: «Non c’è bisogno di dire che se il mercato funziona meglio in termini di accesso ai capitali questo faciliterà tutte le transazioni, compreso forse Montepaschi»

La valanga di acquisti che da lunedì si sta riversando sulle banche popolari di Piazza Affari sta diventando sempre più imponente. Ieri ha provocato rialzi fino al 27%, come nel caso della «piccola» Popolare dell’Etruria, strappi superiori al 10% per il Creval e la Popolare di Sondrio. Sullo sfondo restano sempre le polemiche per il blitz di Matteo Renzi, il quale ieri da Davos ha difeso la riforma sottolineando che con il decreto «abbiamo deciso di cancellare delle regole che riguardano le banche popolari in Italia. È un cambio veramente radicale rispetto al nostro sistema tradizionale». Gli ha fatto eco il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che ha insistito sulla necessità di ridurre la frammentazione del sistema bancario e far arrivare più credito alle imprese. «Mi aspetto un qualche tipo di iniziativa», ha detto Padoan, «non c’è bisogno di dire che se il mercato funziona meglio in termini di accesso ai capitali – ha aggiunto – questo faciliterà tutte le transazioni, compreso forse Montepaschi». Dunque una ricaduta su Siena potrebbe esserci, anche se non si tratta di una popolare ma di una spa che dalle risiko delle popolari potrebbe però essere salvata. 
Per Ubs e Mediobanca un consolidamento appare scontato. Gli analisti svizzeri pensano addirittura «che la pressione sulle popolari possa condurre a un consolidamento prima dell’implementazione della nuova governance». «Il periodo di 18 mesi per trasformarsi in spa consente alle popolari di considerare opzioni di fusioni e acquisizioni all’interno del loro campo, evitando così di diventare obiettivi per offerte ostili» notano invece da Piazzetta Cuccia. Ubs vede inoltre Ubi Banca come «consolidatore» grazie «al suo forte bilancio». E non è la sola a ipotizzare che l’istituto guidato da Victor Massiah possa essere un polo aggregante. Ieri a Piazza Affari Ubi ha chiuso con un rialzo tutto sommato contenuto, +3%, che è stato letto come un possibile indizio sul ruolo che potrebbe avere l’istituto, ossia di polo aggregante. In ottica di consolidamento la scelta strategica potrebbe essere quella di allungare l’asse che passa per Bergamo e Brescia verso il Veneto, dove ci sono la Antonveneta di Mps, Veneto Banca e la Popolare Vicentina. Ma sulla direttrice che porta a Nord Est ci sono pure il Creval e la Popolare di Sondrio. Uno scenario da «Superpopolare» che potrebbe essere funzionale a «mettere in sicurezza» le popolari da possibili scalate dall’estero aumentandone la taglia. Nell’ipotetico polo potrebbe rientrare anche Bper, ieri salita del 3,2%. Ma polo aggregante sarebbe anche Bpm. Un segnale potrebbe averlo dato Norges, che nei giorni scorsi ha ridotto sotto al 2% la quota in Piazza Meda per salire al 2,03% nel Banco Popolare, ieri in rialzo di oltre il 9%. 
Per ora siamo nel campo della speculazione, che sembra disinteressata alle polemiche che stanno investendo il blitz di Renzi e lo «strappo» di Ncd. Il dibattito in Parlamento per la conversione sarà molto animato. Assopopolari sta affilando le armi e ha convocato un vertice oggi a Milano per fare il punto. Secondo indiscrezioni l’associazione si sarebbe procurata un parare legale per fermare il decreto. Va considerato che in Assopopolari siedono i presidenti, che dal sistema del voto capitario hanno sempre tratto potere e influenza. Che la trasformazione in spa cancellerebbe, dando più autonomia ai manager, che come interlocutori non avrebbe più una pletora di soci ma gli azionisti di controllo. 
Federico De Rosa
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Potrebbe arrivare oggi la posizione ufficiale di Assopopolari sul decreto che ha disposto la trasformazione in spa dei 10 big della categoria: è possibile che la riunione fra i vertici delle maggiori banche cooperative, prevista nel pomeriggio nella sede dell’associazione, porti alla redazione di un comunicato. 
Del resto per Assopopolari il blitz del governo guidato da Matteo Renzi è arrivato a «cantiere» appena aperto. In dicembre era stato dato incarico a tre super-saggi, Piergaetano Marchetti, Angelo Tantazzi e Alberto Quadrio Curzi, di studiare un testo di riforma per il settore. Che, pur preservando il principio cardine del voto capitario, aveva fra gli obiettivi quello di agevolare la rappresentanza degli investitori istituzionali, tasto al quale le banche hanno finora risposto in modo differente pur sollecitate in tal senso da Via Nazionale. 
Allo stato attuale il testo del provvedimento non sembra lasciare margini di manovra alle 10 banche con oltre 8 miliardi di attivo che dovranno trasformarsi in spa entro 18 mesi dall’entratta in vigore delle disposizioni ai attuazione che saranno emanate da Bankitalia. Le conseguenze per «inottemperanza» sono chiare: si va dalla revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria fino alla liquidazione coatta amministrativa. Cioé: o spa o si chiude. 
E anche rispetto alle assemblee che dovranno approvare il passaggio a società per azioni il provvedimento facilità il più possibile la deliberazione, che va presa con la maggioranza dei due terzi. Nelle assise, che si terranno ovviamente secondo il principio attuale «una testa-un voto» (indipendentemente dal numero di azioni possedute) basterà la presenza di pochi soci. Il testo dice che in prima convocazione in assemblea dev’esserci almeno un decimo dei soci della banca, mentre in seconda si decide «qualunque sia il numero dei soci intervenuti». Per la validità il provvedimento non si affida agli statuti come previsto dal testo unico bancario: e in effetti oggi alcuni Popolari (come Bpm o il Banco) per la prima convocazione indicano un decimo dei soci, altre un ventesimo (Ubi) o un quinto (Bper), mentre in seconda nelle straordinarie c’è chi dispone un minimo di mille soci (la Milano) o 1.400 (Ubi) o l’1% (come Bper). 
Oggi si saprà se Assopopolari (dove si terrà anche un incontro sulla cessione dell’Istituto centrale delle banche popolari) deciderà di alzare le barricate: per il momento l’associazione avrebbe chiesto pareri legati sulla validità dell’urgenza nelle misure del governo e sulle limitazioni al recesso contenute nel provvedimento. Di certo invece è alto lo scontro politico. 
Ncd è andata allo strappo e ha cominciato a lavorare su possibili emendamenti, che potrebbero anche in questo caso partire dalla questione dell’urgenza che ha portato a inserire la riforma nel decreto «investment compact». Il presidente pd della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ha sottolineato che «non si comprende come la governance delineata possa sbloccare il credito alle imprese». E una posizione simile è arrivata dalla leader della Cgil Susanna Camusso: «È questa l’urgenza che ha il Paese per innescare il credito di cui i cittadini e le imprese soffrono la mancanza? Le banche cooperative sono quelle che hanno avuto un credito più alto con il territorio e le piccole imprese». 
La svolta segnata dal provvedimento Renzi non ha comunque «abolito» le Popolari. Ha sancito che oltre certe dimensioni una banca non può avere una governance da cooperativa dove si decide con voto capitario, la politica è attore palese e il management ha più volte oscillato fra autoreferenzialità e subordinazione ai sindacati. 
S. Bo.