la Repubblica, 22 gennaio 2015
Nell’aula dei giocolieri e prestigiatori. Tra selfie, insulti e supercanguri, pacificazione e inciucio, buffonate e minacce, in un passaggio politico assai delicato lo sfogatoio dell’Italicum racconta un’Italia che un po’ fa ridere, ma mette anche un po’ paura
Anche stavolta il «Super Canguro» ha spiccato un balzo degno del suo nome, ma per circostanze inspiegabili, o forse troppo recenti da approfondire, nessun senatore si è portato in aula peluche o altri simulacri marsupiali. In compenso, all’interno di una riunione della dissidenza pd, Gianni Cuperlo ha evocato il cane Balto e le sue peripezie, pure al centro di un celebre cartone animato del 1995.L’immaginario politico non ha più confini. Animatore della minoranza di Forza Italia, il senatore Minzolini ha riassunto l’infausto destino del suo partito nel passaggio dal «tafazzismo», fenomeno che prende il nome dall’autolesionista genitale di «Mai dire gol», Tafazzi appunto, a una inedita condizione di «pupazzismo», che richiama i «pupi» e nel caso specifico, stigmatizzandoli, i burattini sapientemente mossi dal giovane premier Renzi per quanto riguarda, per ora, l’approvazione dell’Italicum.In tale contesto politico e parlamentare troverà opportuna segnalazione il fatto che mentre l’assemblea si divideva sulla nuova legge elettorale, a Palazzo Madama si affacciava, sempre in ambito Forza Italia, niente meno che Antonio Zequila, nel pettegolo mondo televisivo soprannominato «Er Mutanda». Il quale peraltro – corsi e ricorsi – fu segnalato, ma a Montecitorio, anche ai tempi della crisi del secondo governo Prodi.Ora, lo storico e senatore Gotor, designato l’altro giorno da Renzi come il suo «nemico preferito», ha voluto polemicamente richiamare la «fulminea» approvazione sempre al Senato della legge truffa. Fu quella in realtà una delle più sconvolgenti battaglie parlamentari culminata, la Domenica delle Palme del 1953, in 35 minuti continuativi di pugni, calci, morsi, tavolette sradicate, sedie degli stenografi brandite come clave, aste dei microfoni divelte e usate a mo’ di lance. Il verbale di quella tumultuosa seduta non fu mai approvato. Il presidente, il povero Meuccio Riuni, ebbe un calamaio in fronte e prima di crollare gridò «Viva l’Italia!».Ecco, a vedere le foto di ieri e dell’altroieri, i ministri e i senatori con la manina vezzosamente sulla bocca per nascondere il labiale ai fotografi, oppure chini sui telefonini a scambiarsi tweet mentre dai banchi della Lega volteggia una penna bic in direzione della presidenza; ecco, saranno stati quelli tempi aspri e selvaggi, ma anche senza averne alcuna nostalgia si capisce che la vita pubblica italiana ha smarrito definitivamente il senso del dramma. Non che oggi Seconda o Terza Repubblica che sia – manchino tensioni, torsioni, avversioni e spaccature, ma tutto butta inesorabilmente su un realismo grottesco e ridanciano, troppo macroscopico, catastrofico e tragicomico per poter essere preso sul serio e accettato nella sua viva autenticità.La minestra di Bersani, la mamma di Civati, il carrellino di Calderoli – che due settimane fa ha donato carbone dolce alla Boschi e fatto trangugiare carbone vero al sottosegretario alle Riforme Pizzetti – trascina montagne di emendamenti; mentre l’astuto Esposito, subito detto «Espositum», approfitta dei colleghi che gli fanno e si fanno i selfie per presentare la sua trappolona canguresca.La tattica parlamentare genera ormai esercizi da circo, alta acrobazia procedurale. La rappresentanza cede il passo a giocolieri e prestigiatori; tutto procede sempre sotto la spinta della fretta, di corsa, tra pasticci e forzature; il livello culturale del dibattito è tale da suscitare un terribile dubbio: è una democrazia che è andata a male o l’alba di una post-democrazia dall’esito imprevedibile?Anche gli insulti hanno perso ogni residuo contenuto politico: «Parassiti» dice Espositum, «non dire caga te», scrive sempre Espositum a Chiara Geloni, «stai calmino» gli risponde lei. Poi quello si scusa con i parassiti e magari fa anche pace con Geloni, chissà. E può sembrare un’immagine eccessiva e infelice, ma il Palazzo dove bene o male si stabilisce la Norma in questi giorni assomiglia a un Luna Park, a uno stadio, a una scuola materna in piena euforia anale. Risuonano culo, pupù, cacca, il senatore Candiani battezza il «Merdinellum», più colto il senatore D’Anna cita la «merda d’artista». Ma poi le deiezioni finiscono per convivere con altri istinti, pure abbastanza regressivi, quello tira in ballo i coltelli, quell’altro il suicidio, quell’altro ancora addirittura l’Isis.Tra pacificazione e inciucio, Syriza e Davos, buffonate e minacce, in un passaggio politico assai delicato lo sfogatoio dell’Italicum racconta un’Italia che un po’ fa ridere, ma mette anche un po’ paura. Magalli guida la classifica dei quirinabili del Fatto, Mastella avverte che il prossimo presidente della Repubblica se ne «strafotterà» di tutti e alla radio l’ex ministro Nunzia De Girolamo, in posa, fa finta di strozzare Salvini, anche lui promosso conduttore di «Un giorno pecora». Se il capo leghista si mette con Alfano, lei ha promesso che farà un calendario – e nulla consente di non crederle.