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 2015  gennaio 22 Giovedì calendario

Qe rischia di diventare un terribile boomerang. Lo scenario da incubo, infatti, per un Paese con oltre duemila miliardi di euro di debito come l’Italia, è che la Bce approvi l’acquisto di titoli di Stato con la clausola tedesca che potrebbe spaccare l’eurozona

Un banchiere italiano di lungo corso non nasconde di essere «di pessimo umore». Dal primo minuto, al Forum annuale di Davos non si è fatto altro che parlare della riunione della Bce più attesa da due anni. E il banchiere, dietro garanzia dell’anonimato, non usa giri di parole.
«Se la Bce architetterà un quantitative easing (Qe, ndr) scaricando il rischio dei default dei Paesi sulle singole banche centrali, mi auguro e mi aspetto che Ignazio Visco voti contro». Lo scenario da incubo, infatti, per un Paese con oltre duemila miliardi di euro di debito come l’Italia, è che la Bce approvi l’acquisto di titoli di Stato con una clausola micidiale che non farebbe altro, come ha detto il governatore della Banca d’Italia nei giorni scorsi, che riaprire la ferita della frammentazione finanziaria. Proprio il messaggio dell’«ognun per sé» che gli speculatori di tutto il mondo non aspettano altro che sentire di nuovo, dall’Europa. Soprattutto, dopo che la Bce aveva ricominciato a risanare quella frammentazione due anni fa, con la promessa di difendere l’euro «ad ogni costo» e con il via libera allo scudo anti-spread. Uno scudo legato alla promessa di riforme e risanamenti, certo, ma uguale per tutti. Soprattutto: illimitato. 


L’incognita delle Borse
Il banchiere continua i ragionamento, condiviso da molti, al Forum mondiale dell’economia: «così il “Qe” rischia di diventare un terribile boomerang». Significherebbe dare un segnale controproducente ai mercati, «sarebbe il rifiuto di mettere insieme i rischi, che è il fondamento della moneta unica». Ma l’altra indiscrezione che continua a innervosire i mercati, è che l’operazione possa risultare troppo limitata: la maggior parte degli analisti punta ormai su un intervento da almeno 500 miliardi di euro. E anche su questo, la ridda di voci (che dimenticano spesso che fino alla sera della cena del consiglio direttivo gli scenari e le proposte formulate dagli economisti della Bce sono spesso più di uno), sono il segno che rispetto all’anno delle operazioni che salvarono l’euro, qualcosa di sostanziale è cambiato, per Mario Draghi.
Chi preme per una soluzione che limiti una messa in comune dei rischi sul debito, ormai apertamente e da mesi, è notoriamente la Germania. E rispetto al 2012, quando Angela Merkel diede il suo assenso incondizionato allo scudo anti-spread – persino contro il parere della Bundesbank – l’atteggiamento del governo tedesco è mutato. Dopo un lungo silenzio, la cancelliera ha espresso i suoi dubbi già lunedì scorso e li ha ribaditi ieri: «come politico, per me è importante che sia evitato ogni segnale che possa essere percepito come un indebolimento della necessità di cambiamenti strutturali e di una più stretta cooperazione tra i paesi dell’eurozona». Draghi, in sostanza, ha perso l’appoggio del governo tedesco. 
Il dissenso del Nord Europa
E la vera grana, è che il dissenso sul Quantitative easing (Qe) nasconde il fatto che l’eurozona si sta spaccando. L’opposizione della Bundesbank o delle banche centrali del Nord- ed Est Europa – il fronte rigorista – al massiccio piano di acquisti di titoli, non è solo il sintomo che questi Paesi stanno meglio e che hanno meno debiti di Italia, Spagna, Grecia o Portogallo. È il sintomo che le destre populiste e i movimenti anti euro stanno continuando a erodere la disponibilità alla convergenza e alla solidarietà. Una delle grandi questioni sul tavolo dei banchieri centrali, ad esempio, è se la Grecia dovrebbe essere inclusa nel Qe: alcuni politici e banchieri centrali hanno già chiesto esplicitamente che ne sia estromessa. E indiscrezioni parlano, dunque, di un Qe che potrebbe essere annunciato, ma con un avvio rimandato a dopo l’esito delle elezioni di domenica prossima.