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 2015  gennaio 22 Giovedì calendario

Intanto la Cina si compra l’Europa. Zhou, il governatore della banca centrale punta tutto sull’euro e investe cento miliardi in Italia

La marcia della Banca centrale cinese sulle aziende quotate a Piazza Affari non si ferma. Pechino usa parte delle sue riserve per comprare Europa, Italia compresa, sempre più attraente agli occhi dei grandi investitori stranieri. E, probabilmente, l’ulteriore indebolimento dell’euro, l’intervento della Bce con un massiccio piano di acquisto di titoli di Stato (QE), e il calo dei prezzi del petrolio, che rappresentano una tripla spinta alla ripresa Ue, favoriranno una tendenza in atto. 
«Continuiamo ad acquistare quote azionarie di imprese italiane, ma ora facciamo attenzione a restare sotto la soglia del 2%, così non siamo obbligati a renderlo noto», dice al «Corriere» Zhou Xiaochuan, governatore della People’s Bank of China. La Banca centrale cinese era venuta allo scoperto nei mesi scorsi quando aveva comunicato, in osservanza alle regole Consob, partecipazioni superiori al 2% nel capitale di Eni, Enel, Generali, Telecom Italia, Terna, Saipem, Fiat, Mediobanca e Prysmian. «A quanto ammontano i nostri investimenti in Italia? Non ricordo la cifra esatta, siamo nell’ordine di circa 100 miliardi di euro, ma in questo numero sono compresi anche i titoli del debito pubblico», afferma il governatore a Davos insieme a una delegazione cinese di oltre 80 persone, che include il premier Li Keqiang e il fondatore di Alibaba Jack Ma. 
La missione di Pechino è rassicurare i grandi del pianeta, spaventati dal rallentamento dell’economia cinese cresciuta del 7,4% nel 2014, il valore più basso degli ultimi 24 anni. «Se la crescita della Cina rallenta un po’ e l’economia diventa più sostenibile, questa è una buona notizia. Se il governo inseguisse un tasso di crescita troppo alto, sarebbe necessario posporre le riforme strutturali», sostiene Zhou. «Quello che il popolo vuole adesso sono le riforme strutturali, in cambio siamo disposti a sacrificare un po’ di crescita». 
Attorno alle riforme strutturali ruota anche il discorso del primo ministro Li Keqiang. «Le riforme strutturali sono più urgenti che mai in Cina, e devono essere portate avanti a tutti i costi perché l’economia deve entrare in una nuova fase di crescita, più sofisticata, importante anche per il mercato del lavoro», afferma. Il premier riconosce che la crescita cinese sta passando «da una velocità alta a una velocità media-alta». E anche nel 2015 il Pil subirà «pressioni al ribasso». Ma «non ci sarà un atterraggio duro», garantisce. «Dobbiamo incoraggiare imprenditorialità di massa e innovazione. La Cina ha bisogno di nuove forme di dinamismo per trasformare il motore della crescita tradizionale, aumentare il benessere e la mobilità sociale», dice. Consapevole che «la regolamentazione eccessiva e la mancanza di concorrenza rappresentano un freno». Forse è una lezione anche per l’Europa.