il Fatto Quotidiano, 21 gennaio 2015
Parla Franco Bernabé, l’ex presidente di Telecom, e spiega che Renzi ha idee giuste ma non basta: «Serve un’altra classe dirigente. Per portare l’economia italiana fuori dal baratro ci vorranno almeno dieci anni, se continuiamo a cambiare governo ogni anno non si va da nessuna parte»
La scelta di Matteo Renzi di azzerare la vecchia classe dirigente è comprensibile e giusta, tocca ai più giovani cercare la via d’uscita dai problemi enormi che le generazioni precedenti hanno lasciato accumulare senza risolverne nessuno”. Serenamente autorottamatosi dopo vent’anni alla guida di Eni e Telecom Italia, cioè sulla plancia di comando del capitalismo italiano, Franco Bernabè ostenta distacco dall’attualità politica più stretta. Si dichiara non in grado di formulare pronostici per la corsa al Quirinale, però indica proprio nella scelta del nuovo presidente della Repubblica un passaggio importante per l’uscita dell’Italia da una crisi economica senza precedenti. E mette al centro dell’agenda politica la stabilità.
Non è sempre lo stesso mantra un po’ generico?
Per me no. È la diagnosi dei mali del Paese e delle terapie necessarie a portarmi a questa conclusione. Per portare l’economia italiana fuori dal baratro ci vorranno almeno dieci anni, se continuiamo a cambiare governo ogni anno non si va da nessuna parte.
Non basteranno neppure i mille giorni del suo amico Renzi?
I mille giorni servono per cominciare ad affrontare le cose nello spirito giusto. Negli ultimi tre anni abbiamo avuto tre governi, Monti, Letta e Renzi. Sostanzialmente la terapia che hanno proposto è la stessa perché comune é la diagnosi. La delusione dell’opinione pubblica per il governo Monti deriva dall’idea errata che un tecnico autorevole sia in grado di rimettere le cose a posto in pochi mesi. Invece ci vuole tempo. Come dicono gli americani, per il successo serve un 5 per cento di inspiration, l’idea giusta, e un 95 per cento di perspiration, cioè di sudore, di duro lavoro per realizzarla.
Come aspirante fulmineo demiurgo anche Renzi non scherza...
Ognuno ha i suoi difetti, ma qui il punto è mettersi d’accordo su una cosa: lui ha le idee giuste ma per cambiare il Paese non basta qualche decreto azzeccato. C’è da costruire una nuova classe dirigente che porti l’Italia fuori dai guai in cui l’hanno cacciata le generazioni precedenti.
Vediamo la lista dei guai.
L’Italia ha avuto negli ultimi dieci anni la peggior performance economica d’Europa e una delle peggiori del mondo. Dal dopoguerra al 1973 la nostra produttività è cresciuta del tre per cento all’anno, dal ‘73 al ‘92 è aumentata solo dell’uno per cento all’anno, dal ‘92 al 2000 è rimasta stazionaria e dopo il 2000 ha cominciato a diminuire. Aggiungiamo la bassa natalità e vediamo come il Paese non abbia più potenziale di crescita economica. Poi c’è l’enorme debito pubblico che con l’inflazione vicino a zero pesa sempre di più. E occupati sempre meno numerosi devono sostenere pensionati che sono sempre più longevi. Sui più giovani grava un futuro pieno di incognite e infatti fuggono, sempre più numerosi.
A chi devono dire grazie le nuove generazioni per aver tracciato la strada che porta alla miseria?
A tutta la classe dirigente: politici, sindacalisti, grandi burocrati, manager, imprenditori. Hanno fallito tutti insieme, dare la colpa a una sola categoria sarebbe sbagliato. Il conto da pagare lo abbiamo lasciato ai più giovani, è giusto che adesso siano loro a decidere.
Però ci sono alcuni giovani al governo e milioni di giovani che non trovano lavoro.
L’unica cosa che si può e si deve fare è liberare le energie per la creazione di nuove iniziative. La tecnologia ha fatto sì che oggi le soglie di accesso alla creazione di un’impresa si sono molto abbassate. Le opportunità ci sono, anche in Italia, bisogna mettere i giovani in condizione di coglierle.
Ma l’idea che tutti i giovani debbano farsi la start up non è un po’ come dire loro: arrangiatevi? E se uno per caso non è creativo, non ha l’idea geniale, o semplicemente non vuol vivere con il coltello della competizione tra i denti, deve morire di fame?
L’economista americano Tyler Cowen ha scritto recentemente un libro intitolato Average is over, che letteralmente significa “la media è finita”. Significa che non c’è più spazio per galleggiare, il mondo è diventato terribilmente competitivo per il semplice fatto che in pochi anni la cosiddetta globalizzazione ha messo 500 milioni di europei in gara con tre miliardi di cinesi e indiani. E adesso sta esplodendo l’economia africana. È così, oggi chi non è creativo e competitivo starà molto peggio di chi non lo era trent’anni fa.
Una classe dirigente che dice al popolo che viene diretto “scusate, è andata male, ognuno per sè e Dio per tutti” non è un grande spettacolo.
Sta accadendo così in tutti i Paesi dell’Occidente. Negli Stati Uniti, ma anche in Israele e adesso addirittura in Cina, tutti i ragazzi vogliono diventare imprenditori. Hanno una visione diversa dai loro padri. Anche in Italia credo che siano molti più di quanto crediamo a desiderarlo, solo che qui mancano le condizioni. Siamo l’unico Paese al mondo dove per costituire un’impresa devi prima assumere un commercialista per metterlo a fronteggiare burocrazia e fisco.
Torniamo all’agenda. Proviamo a indicare le priorità.
Ci sono quattro malattie da debellare. Troppa corruzione, troppa burocrazia, troppe tasse, troppa instabilità. Vedo che su questa diagnosi siamo tutti d’accordo. Si tratta di lavorare tutti insieme, per anni, nella stessa direzione.
Per questo serve anche una leadership credibile.
Leadership significa avere la visione giusta e la capacità di realizzazione. Ma non basta il grande capo che dica che cosa fare, la leadership è l’espressione collettiva di una classe dirigente. Per questo dico che Renzi le idee giuste le ha, ma per cambiare davvero il Paese serve la formazione di una nuova classe dirigente che attui il cambiamento. In caso contrario le grandi riforme rischiano di restare pura espressione verbale.
Intanto i leader non si occupano più dei milioni di disoccupati perché devono giocarsi la partita del Quirinale.
Mi preoccupa di più la disgregazione del sistema politico, con piccole frange che antepongono alle esigenze di stabilità i propri obiettivi personalistici. Il quadro politico che sostiene il governo Renzi è già in fibrillazione dopo un anno, come al solito. Per questo serve un presidente della Repubblica che, con la forza dell’unica istituzione stabile, trasmetta la stessa stabilità al resto del sistema politico.
Si può sempre votare in primavera...
Per carità, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno sono nuovi cambiamenti, nuovi ministri, nuovi direttori generali nei ministeri. Con questa giostra delle poltrone nessuno ha mai il tempo non dico di finire un lavoro, ma neppure di progettarlo e impostarlo. E non si fa niente. Ed è per questo che l’instabilità è il male assoluto, non perchè è un concetto mistico, ma perché concretamente mette in fuga i capitali, nazionali e stranieri, e condanna la nostra economia al declino.