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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

I drammaturghi esistono ancora. Ed esistono ancora in Italia. Ce n’è uno famoso nel mondo, anche se non l’avete mai sentito nominare. Si chiama Stefano Massini, ha scritto un dramma su Lehman Brothers e in giro per il Pianeta, adesso, stanno recitando una ventina di suoi testi

Nella sua bella casa sulla collina tra Prato e Firenze fa la legna, smussa il fieno, pianta le peonie e ogni giorno corre 30-40 chilometri in bicicletta. È proprio pedalando che crea i suoi tesori: dice le battute ad alta voce, le registra sul telefono, poi una volta a casa, la sera, essendo un nottambulo, li trascrive al computer. «Mi vengono bene in bici perché la parola teatrale è parola in movimento, è ritmica. Più macino chilometri, più riesco a creare cose che mi convincono». Stefano Massini è un drammaturgo. «Drammaturgo? Replicano interrogativi quelli che mi chiedono che mestiere faccio. Quasi nessuno sa cosa vuol dire. Ma con scrittore pensano subito ai libri, sceneggiatore è quello che fa cinema... Così per farla corta, dico che sono quello che dà le parole agli attori».
Se c’è, come c’è, un’onda di risveglio e slancio di testi e nuovi autori nel teatro italiano, Massini sta sulla cresta, è un’eccellenza. E non solo in Italia: in questo momento ci sono in scena tredici suoi testi nel mondo e con i più piccoli si arriva a 19 dal bellissimo Donna non rieducabile sul caso Politovska a Lehman Trilogy, che è visto dal Canada agli Usa all’Europa tra allestimenti e reading, un’autentica saga della famiglia del più grande crac dal 1929 a oggi, che il 29 debutterà per la prima italiana al Piccolo Teatro nientemeno che con la regia di Luca Ronconi. Giorni fa con un biglietto personale Goffredo Fofi lo ha riempito di encomi per questo testo. E la Francia lo ha adottato come un novello Goldoni: è di questi giorni la notizia che la famiglia Brook, Irina e il padre, il celebre regista Peter, lo hanno chiamato come scrittore residente al Teatro Nazionale di Nizza, il secondo per importanza della Francia, per fare seminari, incontri, stage e soprattutto testi nuovi che nella formula dei Brook saranno in francese, inglese e italiano. «Alla Francia devo molto – sottolinea Massini – Fu dopo un articolo di Le Monde che si è scatenato tutto per me». Si è scatenato un bel via vai: al Piccolo, per esempio, il rapporto non si esaurisce solo col Lehman di Ronconi, perché la prossima stagione produrrà un altro suo testo, stavolta sul terrorismo e interpretato solo da donne.
Certo, si pensa l’autore di teatro come una persona di punitiva austerità. Massini invece è un giovanotto sportivo e per niente noioso. Molto stile generazione Erasmus. 39 anni a passo sicuro, ha financo avuto Matteo Renzi come compagno di scuola al liceo Dante di Firenze («ma nonostante lui sia stato sindaco non lo vedo né lo sento da anni, non sono mai andato a cercarlo»). «Sarei dovuto diventare un egittologo, ma durante il servizio civile feci l’assistente volontario alla regia al Maggio Musicale. Ebbi la fortuna che nella stanza accanto alla nostra provava Luca Ronconi. Gli chiesi se potevo fare da assistente a lui, nella prosa. Mi disse di scrivere al Piccolo, lo feci, mi chiamarono nel 2001 per produzioni come Infinities, Il candelaio. Facevo i diari delle prove. Ronconi li lesse e mi disse “hai mai provato a scrivere per il teatro?”. A Ronconi devo tutto». Il premio Tondelli per L’odore assordante del bianco nel 2005, fece il resto.
Come sempre capita a quelle persone che amano vivere con incrollabile fiducia, Massini s’è costruito sue astruse ma interessanti teorie sul perché chi ha 40 anni ha nel dna la scrittura: «Viviamo in un momento storico in cui si scrive molto più di prima. Grazie ai social network, parli meno e scrivi di più e la scrittura delle chat è simile a quella del teatro, è un dialogo». La sua specialità, oltre a scrivere molto per attrici, Ottavia Piccolo prima di tutte che sta girando con 7 minuti, Luisa Cattaneo, Luccilla Morlacchi, Isabella Ragonese («scrivere per le donne è un bene perché mi complicano la vita essendo qualcosa di diverso da me»), sono i testi legati all’attualità. «Scrivere sulla crisi della coppia non me ne frega niente. Per me è importante avvertire la molla che eticamente non mi fa sentire uno stronzo. Scrivo quando sento che se non scrivo un tema sarei un bastardo. Poi mi piace che davanti a un mio testo lo spettatore esca migliore di quando è entrato a teatro, cioè che abbia conosciuto qualcosa che non sapeva o abbia esplorato un’emozione che nella vita non aveva sondato. E se no perché scrivere? Scrivere per il teatro non è remunerativo, non è nemmeno un ruolo sociale riconosciuto... Io metto insieme due o tre lavori, una piccola cattedra all’università come professore a contratto, i diritti dei testi e dei libri pubblicati. Non ci si fa la casa a Cortina ma uno stipendio sì. Ma se vale la pena scrivere è perché sai che qualcosa puoi cambiare».
Pentito? «Dipende da cosa vuoi nella vita. A me di avere il nome sulla porta non me n’è mai fregato niente. Dopo il Tondelli, quando potevo montarmi la testa, ho fatto per due anni il volontario nel canile di Firenze, due anni con gli stivali nella cacca, per evitare di diventare uno che si comprava le scarpe alla moda. Frequento poco anche i teatri: gli spettacoli li vedrei pure, ma mi è insopportabile il giochetto delle pubbliche relazioni, le strette di mano, i mezzi sorrisi tra camerini, platea e foyer. Tutti mi dicono trasferisciti a Roma, lì cercano... Preferisco stare a casa mia a piantare le peonie che mi ha regalato Ronconi. Sì, certo, anche lui è un “botanico criminale” come me. Questa estate le vere telefonate non erano su Lehamn ma su come guarire i gelsomini...».