la Repubblica, 21 gennaio 2015
Rapporto dalla Libia, un paese disastrato, senza energia elettrica e senza scuole. L’esercito di Khalifa Haftar (Tripoli), appoggiato dal Qatar, combatte contro i ribelli di Ansa al-Sharia (Bengasi), fondamentalisti sostenuti da Egitto, Emirati e sauditi
Della Libia non si parla pressoché più nei notiziari, benché quanto accade laggiù sia di importanza decisiva. L’esercito nazionale libico, ai comandi di Khalifa Haftar – ex generale che alla metà degli anni Ottanta disertò e passò all’opposizione in esilio, per poi ritornare nel 2011 a prendere parte alla rivolta contro Muammar Gheddafi –, sta combattendo contro Ansa al-Sharia, un gruppo di miliziani armati di stanza a Bengasi che ha espresso opinioni dispotiche e profondamente antidemocratiche. Seconda città più importante del Paese e capitale della turbolenta regione orientale, Bengasi è segnata da episodi di violenza estrema, più di quanti ne abbia visti dalla Seconda guerra mondiale in poi. Molti abitanti di questa città che ne conta 1,3 milioni ormai hanno abbandonato le loro case a favore di quartieri relativamente più sicuri. I prezzi dei beni ordinari sono schizzati alle stelle. Lunghe code alle stazioni di servizio, nelle panetterie, presso i venditori di carbone sono diventate la regola. Le croniche interruzioni di energia elettrica hanno reso indispensabile tornare al carbone. L’intera regione orientale, da Ajdabiya a Tobruk, è segnata da gravi blackout e da questo punto di vista Bengasi ha appena vissuto la sua settimana peggiore. In media, la città usufruisce delle forniture di energia elettrica per sole quattro ore al giorno. Anche l’acqua è disponibile soltanto con discontinuità. «Questa crisi energetica ha soffocato ciò che restava del nostro spirito» mi ha confidato un abitante di Bengasi. La violenza ha fatto definitivamente piazza pulita dei media locali affermatisi con successo dopo la destituzione di Gheddafi. Dopo quarant’anni di censura, improvvisamente aveva iniziato a circolare oltre un centinaio tra quotidiani, riviste e giornali. Adesso quelle pubblicazioni sono scomparse e tutti i gruppi di attivisti stranieri che si battevano per il rispetto dei diritti umani hanno lasciato il Paese. In pratica, nessun giornalista straniero si reca in Libia. Questa settimana, in risposta al rapimento di due corrispondenti tunisini, un gruppo di associazioni libiche della società civile e alcuni attivisti hanno reso nota una dichiarazione sulla gravità delle violenze i giornalisti. «Soltanto nell’anno appena concluso sono stati assassinati quattordici giornalisti, decine di altri sono stati rapiti, di altri ancora non si sa più nulla» hanno detto. Simili aggressioni mirate sono entrate a far parte della quotidianità di Bengasi. «Qui ormai la morte è di casa» mi ha detto un attivista. «E non ci ferma neanche più. Quando vengo a sapere che qualcuno è stato ammazzato, faccio un respiro profondo e tiro avanti». L’anno scorso in città ci sono stati oltre duecento omicidi. Le vittime in buona parte erano militari, agenti di polizia, giornalisti, attivisti per i diritti umani e avvocati. Anche se è raro che gli episodi di violenza di questo tipo siano rivendicati, si ritengono opera di Ansar al-Sharia. Durante la rivoluzione libica – senza alcun dubbio la più completa di quelle esplose nella regione –, quasi tutte le strutture di potere sono state messe a dura prova o abbattute. Perfino gli insegnanti non hanno più la medesima autorità. Di conseguenza dal 2011 le scuole non hanno più operato con regolarità. Adesso che Bengasi sta crollando, l’insegnamento qui e in altre città e località è definitivamente paralizzato. Un docente che negli ultimi venti anni ha lavorato in parecchi istituti scolastici, accademie e università di Bengasi chiacchierando mi ha detto che «ogni singola struttura scolastica nella quale ho insegnato è stata bombardata, data alle fiamme o rasa al suolo». I genitori stanno cercano di far proseguire gli studi ai figli a casa. Sei settimane fa è entrata in servizio l’opzione online Beghazi-School.com e ha attirato un numero significativamente alto di alunni. La Mezzaluna Rossa gestisce una scuola a Bengasi, nella quale offre insegnamento a livello di elementari, ma le iscrizioni sono state a tal punto numerose che l’organizzazione è in grado di seguire soltanto due delle sette sessioni quotidiane normali. Tra un blackout e l’altro, una studentessa che avrebbe dovuto finire il suo primo semestre all’Università di Bengasi (il campus è stato prima bombardato e infine dato alle fiamme), mi ha scritto una email. “Talvolta mi dico che dovrei partire, quanto meno per finire gli studi e prendere la laurea. Poi però mi chiedo come potrei lasciare davvero Bengasi…” ha scritto. Come molti altri libici della sua età, si trova a dover scegliere se abbandonare il suo Paese o rischiare di mettere in gioco il proprio futuro. È anche probabile che in futuro incomba un conflitto più grande e pericoloso. La milizia Misrata Dawn, che tiene sotto controllo la capitale, si è allineata con il governo di Tripoli, autoproclamatosi tale. Nessuno dei due accetta la legittimità del Parlamento eletto, che al momento si riunisce nell’estremo oriente del Paese, a Tobruk. Pare che il Qatar appoggi i nuovi governanti di Tripoli, mentre Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto sembrano sostenere Haftar e l’Esercito libico nazionale. Fino a questo momento Haftar ha accettato la legittimità del Parlamento e del governo democraticamente eletti e riconosciuti a livello internazionale. Questo avvelenato miscuglio di conflitti interni e di intromissioni dall’estero sta spingendo sempre più i governi di Tobruk e Tripoli verso lo scontro armato. Malgrado la situazione sia così cupa, i libici sono determinati a tener duro e a coronare le aspirazioni originarie della loro rivoluzione. Di sondaggio in sondaggio è stato confermato che la stragrande maggioranza della popolazione vuole che un governo laico e democratico faccia rispettare la legalità. La speranza, benché intaccata e agli stremi, persiste. Questa settimana Ginevra ospiterà un nuovo round di trattative della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil, United Nations Support Mission in Libya), ed è stato reso noto che “la decisione di organizzare questi negoziati fa seguito ad ampie consultazioni con tutte le più importanti parti in causa libiche”. In ogni caso, il sedicente governo di Tripoli sta minacciando di boicottare le trattative. Molti credono che per la Libia questa sia l’ultima occasione.