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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

Le Olimpiadi naziste del 1936. Hitler sulle prime non le voleva, poi capì che avrebbero avuto un formidabile effetto propagandistico. La lunga marcia dei tedofori, che Leni Riefenstahl avrebbe voluto veder correre nudi

Ho letto che a Milano si intende portare in una scena teatrale una riesumazione della celebre Olimpiade del 1936. Mi ha sorpreso venire a sapere che Hitler era fortemente contrario a che quell’anno l’Olimpiade
venisse svolta in Germania; non intuiva, a differenza di Goebbels, l’alto effetto mediatico che avrebbero suscitato. A consacrarle con la macchina da presa fu Leni Riefenstahl, una donna eccezionale che visse a lungo eccellendo come attrice, danzatrice, regista, nuotatrice subacquea. Potrebbe raccontare qualcosa
di lei?
Franca Piccinini
franchina.dolce@tiscali.it

Cara signora Piccinini,
H itler non aveva alcuna inclinazione per le attività sportive e sembrava convinto che la passione per lo sport non fosse compatibile con l’immagine di un «Führer» nel proprio Paese e nel mondo. Ma non tardò a comprendere che l’Olimpiade era un’occasione imperdibile. Gli avrebbe permesso di dare una dimostrazione delle straordinarie capacità organizzative della macchina statale tedesca e di proclamare al mondo, contemporaneamente, che il Terzo Reich era l’erede naturale dell’Antica Grecia, il depositario di quei valori pagani che esaltavano la forza, la destrezza, la sintonia dell’uomo con la natura.
Fu questo il motivo per cui una grande attenzione venne riservata alle cerimonie che dovevano accompagnare il trasporto della fiamma olimpica, grazie a una lunga staffetta di tedofori, dall’antico stadio di Olimpia allo stadio di Berlino. L’organizzazione fu minuziosa. Come ricorda uno storico americano, Davis Clay Large, in un libro pubblicato in Italia da Corbaccio ( Le Olimpiadi dei nazisti. Berlino 1936 ), occorreva coprire 3.075 chilometri in dodici giorni, «tenendo conto anche delle soste per discorsi e cerimonie»; ed era indispensabile che la fiamma oltrepassasse la soglia dello Stadio olimpico di Berlino alle 4 pomeridiane del 1° agosto.
La regista del viaggio fu Leni Riefenstahl. Volle dirigere le riprese cinematografiche dell’accensione e cercò di ottenere, ma senza successo, che i tedofori corressero nudi «in omaggio agli atleti dell’antica Olimpia i quali in generale partecipavano alle gare con il corpo coperto soltanto da uno strato di olio». Lungo la strada il viaggio assunse caratteri politici. Quando la fiamma giunse a Vienna, i nazisti locali approfittarono dell’evento per manifestare contro il governo austriaco e invocare l’annessione alla Grande Germania. Quando attraversò la Cecoslovacchia, la fiamma fu accolta entusiasticamente soprattutto dalla popolazione tedesca del Sudetenland.
Contrari all’Olimpiade invece furono i critici e gli oppositori del regime, tutti ansiosi di evitare che i Giochi avessero per effetto la legittimazione dello Stato hitleriano: le comunità ebraiche, i partiti antinazisti e antifascisti e tutto ciò che ancora restava nella società tedesca delle istituzioni della Repubblica di Weimar. Ma la Germania poté contare sul sostegno della «corporazione olimpica», vale a dire su quella combinazione di interessi nazionali e internazionali che non intendeva rinunciare ai giochi e alle loro ricadute.
Per Leni Riefenstahl il trionfo venne con la proiezione del suo film, «Olympia», all’Ufa-Palast di Berlino il 20 aprile 1938. Comincia da quel giorno, nei Paesi in cui fu proiettato, una lunga raccolta di premi e trofei, ma anche di insulti e proteste. A Roma fu accolta da Mussolini che la accompagnò in visita alla città. Ma al di là del Tevere, Pio XI mise «Olimpya» all’indice per il suo paganesimo «pericoloso per la morale».