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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

Intervista a Gianna Nannini. «La mia ultima rivoluzione? Andare a Sanremo. E da piccola mi piaceva la Cinquetti che cantava "Non ho l’età"»

C’è sempre una prima volta. E la serata finale di Sanremo sarà la prima volta di Gianna Nannini al Festival. «Finalmente è arrivata l’occasione giusta. Mi spiace solo che non potrà vederla mia mamma che non c’è più. Sarà come sposarsi con l’Italia», dice la rocker.
Lei a Sanremo però c’è stata come ospite nel 2007...
«Ma quella era la Pia de’ Tolomei, un personaggio storico veramente esistito che ho voluto come protagonista di un mio melodramma. Questa volta ci vado io con tutti i crismi».
Un Sanremo lo ha anche vinto: nel 2008 Giò Di Tonno e Lola Ponce hanno trionfato con la sua «Colpo di fulmine».
«Quella sera ho baciato il televisore. Era come se avessi vinto io. E lo dico da senese: per noi la vittoria è qualcosa di mistico».
Sente la pressione di quel palco e dei milioni di telespettatori?
«È lo stesso del premio Tenco e quindi lo conosco bene (ride). Ai numeri non ci penso. Per me è uguale esibirmi davanti a una persona, a mille o a milioni. Mi emoziono anche durante le prove».
Cos’è Sanremo per lei?
«Non era il mio sogno nemmeno da bambina. A 9 anni avrei voluto andare allo Zecchino, non al Festival».
E poi?
«Quando fai rock non pensi a Sanremo, sei un ribelle e quel palco non è trasgressivo. E più avanti ancora il Festival ha avuto la grande colpa di dare troppa importanza agli ospiti internazionali che in molti casi erano peggio di noi italiani che non potevamo essere invitati».
Mai avuto la tentazione?
«Quando scrissi “Fotoromanza” ci pensai ma ero troppo fuori di testa e non se ne fece nulla. Una volta il mio manager provò a convincermi. Dissi: “piuttosto ci vado da valletta”».
A proposito, le vallette sono due cantanti, Emma e Arisa. Hanno fatto bene ad accettare?
«È una novità e anche una cosa carina. Carlo Conti è un toscanaccio schietto e quando si parla di musica sa cosa dice».
Ricordi da telespettatrice?
«In bianco e nero. Gigliola Cinquetti che canta “Non ho l’età”: mi piaceva quella figura anche se sembrava innocente, e quello slogan era forte».
Chi le piace fra i cantanti in gara quest’anno?
«Non conosco le canzoni ma sento che in Lorenzo Fragola c’è una sensibilità artistica. Ho duettato con lui a “X Factor”, è uno che ha qualcosa da dire».
Salva i talent show?
«Bisognerebbe farne uno in cui i talenti possano far sentire la propria musica mentre ora sono tenuti a fare cover. Così non scopriamo nuovi autori».
La mancanza di autori è il male della nostra musica?
«Ci vorrebbe una tesi di laurea per spiegare. Provo a riassumere. Negli anni 50 e 60 abbiamo avuto una grandissima produzione musicale e le nostre canzoni venivano interpretate anche da Elvis Presley. Si lavorava in team. Ennio Morricone, per dire, faceva l’arrangiatore e dalla collaborazione con Jimmy Fontana nacque “Il mondo”. Poi sono arrivati i cantautori, ripiegati su stessi, e senza quel gioco di squadra abbiamo perso terreno. Pensate se Kurt Cobain avesse cantato “Dio è morto”...».
«Il mondo» e «Dio è morto» sono canzoni di «Hitalia», il suo ultimo album in cui rilegge la canzone italiana in chiave rock...
«È un album che fa pubblicità all’Italia. Non sono le versioni che si sentono nei ristoranti, ma con Will Malone, ecco il lavoro di team di cui parlavo, gli abbiamo dato un suono internazionale. Abbiamo dimostrato che anche la melodia si può fare in chiave rock. Certo poi ci vuole la voce...».
Cosa canterà?
«Di sicuro “L’immensità”. Un testo ancora attuale che racconta la solitudine bestiale di oggi. E ha un messaggio spirituale: ci dice aiutiamoci a non odiare. Non sono religiosa, ma sento la spiritualità. E non sono mondi così lontani. Papa Francesco dice di non aver paura della tenerezza, e io ho usato quelle parole prima di lui in “Sei nell’anima”. Per il secondo brano vorrei un ospite, magari Massimo Ranieri, per far rizzare i capelli di chi sta nelle prime file. Ha in mente quel video in cui Sid Vicious rifà “My Way” in versione punk? Ecco, una cosa simile. Ma senza pistola».
Andrea Laffranchi