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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

La puttana dei soldati, l’avanguardista cattolico, un’opera con tante orchestre e forse troppi interpreti. Paolo Isotta racconta la Scala di sabato scorso, l’opera complicatissima del suicida Bernd Alois Zimmermann

Bernd Alois Zimmermann si uccise il 10 agosto del 1970; era nato nel 1918: è uno dei più importanti compositori degli anni che vanno dal 1945 ad oggi. Il suo suicidio si radica in una serie di disturbi psichici di natura depressiva vieppiù crescenti: pur essendo un musicista di quella categoria denominata «d’avanguardia» Zimmermann era profondamente cattolico: lo dicono la sua forma-zione e il fatto che la sua vita creativa fu un costante dialogo con Sant’Agostino. Il suo capolavoro drammatico s’intitola Die Soldaten ( I soldati ) ed è stato eseguito alla Scala sabato 17 in un imponente allestimento co-prodotto col festival di Salisburgo.
Die Soldaten erano stati rappresentati per la prima volta a Colonia nel 1965 sotto la direzione del grande Michael Gielen dopo ch’erano stati giudicati ineseguibili altrove; e in effetto si tratta d’una partitura di complessità quasi senza eguale sia per le specifiche richieste rivolte all’orchestra ancor prima che ai cantanti sia per le forze che vuole mettere in campo: numerosissimi interpreti; all’orchestra in buca altre se ne aggiungono disposte nello spazio per dialoghi concertanti, in ispecie durante gl’Interludî, che paiono ridar nuova vita a una pratica fiorita nel Cinquecento veneziano, lo stylus antiphonicus del doppio coro. Credo che quanto a difficoltà rappresentativa il precedente principale dei Soldati sia il Palestrina di Hans Pfitzner, del 1917, il quale pure ha una pletora di interpreti; e non solo per questo, giacché anche tale capolavoro del Novecento si propone, nel II atto, vivi intenti di rappresentazione sociale; oltre a ispirare un omaggio, il personaggio del capitano Pirzel, che deriva direttamente dal patriarca orientale del II atto del Palestrina.
Il testo drammatico dei Soldati venne dall’Autore medesimo ricavato dal dramma Die Soldaten di Jacob Michael Lenz, del 1775: è la storia di come una ragazza venga sedotta da un nobile ufficiale e a passo a passo, per l’altrui infamia e per la stessa sua tendenza a provocarla, degradi sino a diventare una puttana dei soldati – così l’Autore si esprime —: il barone del quale è innamorata combina per divertirsi ch’ella sia violentata dal suo attendente; finché il padre stesso suo la vede e non la riconosce, tanto s’è abbrutita. Questo terribile finale è contrappuntato dal canto fuori scena del Pater noster : e ciò credo non tanto significhi una redenzione per tutti quanto ponga la riflessione dello spettatore sul fatto che l’Opera, a onta del suo vivissimo esser rappresentazione storico-sociale dotata di caratteri grotteschi precisi, voglia esser piuttosto una meditazione sul mysterium iniquitatis che proprio il Vescovo d’Ippona porta alla coscienza del mondo moderno: Si Deus est unde malum? – «Se Dio è donde può scaturire il Male?».
Agostino entra nella composizione dei Soldati ancora per un aspetto. Zimmermann, scrittore affascinante e profondo, fa rampollare dal Filosofo la sua concezione del Tempo: non già lineare sibbene sferico : quell’ eterno presente nel quale tutta la Storia è compresente a Dio e nel quale pure gli eventi sono compresenti all’anima: sì che la loro successione è negata essendo ognuno di essi sempre in relazione di simultaneità all’altro. Vorrei si ricordasse che tale concezione del tempo sferico è rivendicata come propria da Federico Nietzsche ma si deve in realtà a Riccardo Wagner che la fonda col suo sistema tematico in continua elaborazione, onde il futuro in grado d’influenzare il passato.
Zimmermann è un ben atipico compositore «d’avanguardia» se accetta la costruzione col metodo seriale ma la contamina coll’inserzione d’ogni genere di elementi linguistici e stilistici. Die Soldaten pare una gigantesca meditazione sul Wozzeck e sulla Lulu di Berg, sul Mosè e Aronne di Schönberg (l’Interludio dedicato all’orgia è un omaggio alla danza del vitello d’oro di quest’ultima Opera): questa è osservazione ovvia; le sonorità orchestrali posson essere pesanti or diafane or «puntillistiche»; il canto è asperrimo; forme musicali «assolute» presiedono all’impaginazione drammatica. La scrittura per le percussioni è così complessa ed eccelsa che sotto questo rispetto un sol compositore può esser accostato a Zimmermann, Rodion Schedrin. In definitiva mi pare che Die Soldaten non possegga oggi nessun carattere cosiddetto «d’avanguardia» sibbene fortissime connotazioni classiche; anche per la sua continua efflorescenza melodica: appunto come la musica di Schönberg, Berg e Webern.
Credo che l’allestimento dei Soldati sia la cosa più importante che la Scala abbia fatto negli ultimi anni; e certo varrebbe la pena venisse ripreso, non fosse la sua straordinaria dispendiosità. Or lo spettacolo dovuto al regista Alvis Hermanis, con scene sue in collaborazione con Uta Gruber-Ballehr e costumi di Eva Dessecker, non rispetta la didascalia settecentesca né quella drammatica: ma si tratta d’un caso di riflessione e ricreazione poetica d’uno spettacolo ab imo che acquisisce così quasi una propria e memorabile dignità estetica. I miei elogi al concertatore e direttore Ingo Metzmacher che ho ammirato moltissimo non riposano sopra uno studio della partitura, che mi avrebbe preso un anno e che farò solo ora che, ascoltati i Soldati, mi sono reso conto di trovarmi di fronte a un capolavoro. L’orchestra s’è assoggettata a una prestazione pesantissima e ne esce con grande onore. Gl’interpreti di canto sono troppi perché li nomini: ma si sono tutti assoggettati alle esigenze di parti, come ho detto, asperrime, e insieme a una difficillima prestazione in quanto attori.
I soldati avrebbe dovuto essere una sfolgorante inaugurazione della stagione 2015.