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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

A lungo dimenticato dalle cronache fino a quando Al Qaeda non ha rivendicato gli attentati di Parigi, lo Yemen è il campo di battaglia di un’altra guerra per procura tra sciiti e sunniti, come in Siria e Iraq. Qui è in gioco il futuro dell’intera penisola arabica e della lotta al terrorismo qaedista

In Yemen è in gioco il futuro dell’intera penisola arabica e della lotta al terrorismo qaedista. A lungo dimenticato dalle cronache fino a quando Al Qaeda non ha rivendicato gli attentati di Parigi, lo Yemen è il campo di battaglia di un’altra guerra per procura tra sciiti e sunniti, come in Siria e Iraq. Qui la presenza dell’Arabia Saudita e dell’Iran, i due sponsor nell’ombra delle milizie che si disputano potere e petrolio, appare più discreta ma è una sensazione superficiale. L’Arabia Saudita è già intervenuta qualche anno fa bombardando gli Houthi sciiti nel Nord e ha tentato di sostenere il governo del presidente Mansur Hadi prima che fosse ridotto a un ectoplasma. Per la prima volta nella sua storia recente, l’esercito saudita attraversò nel 2009 i confini del regno per muovere guerra agli Houti. I risultati della campagna non furono esaltanti. I sauditi misero a nudo limiti militari sconcertanti, al punto che per arginare la debàcle assoldarono soldati yemeniti e disoccupati. Gli iraniani, in funzione anti-saudita, non hanno mai nascosto le simpatie per la guerriglia del clan Houthi, portabandiera degli zayditi, un ramo secondario dello sciismo. Teheran li ha foraggiati con armi e denaro. Tutti qui cercano una rivincita o una vittoria. Gli sciiti tentano di impossessarsi di un Paese che nel Nord hanno avuto in mano per secoli, fino al colpo di stato del 1962 appoggiato dall’Egitto di Nasser. I sunniti, il 60% della popolazione, non intendono cedere il controllo dei pozzi di oro nero nel Sud. Al Qaeda nella Penisola arabica (Aqpa), costola dell’organizzazione fondata da Osama Bin Laden (la cui famiglia era di origini yemenite), protetta dai santuari nella catena dell’Hadramauth sta pianificando il suo ritorno sulla scena nella Jihad globale per contrastare l’ascesa del Califfato di Abu Bakr Baghdadi. Due volte ha rivendicato l’attentato di Parigi e uno dei fratelli Kouachi, Saad, era diventato seguace dell’emiro americano Anwar Awalaki ucciso nel 2011 da un drone Usa. La battaglia dei droni americani contro Al Qeda è l’altra guerra che si combatte in Yemen e finora era proprio sul governo di Sanaa che Washington contava come indispensabile alleato dell’intelligence. Perché la partita yemenita è importante? Lo Yemen è alla confluenza di rotte strategiche, quelle del petrolio attraverso lo stretto di Bab el Mandeb, la Porta delle Lacrime, ma anche delle correnti jihadiste che hanno stretti contatti con gli integralisti somali Shabab del Corno d’Africa. Sono soprattutto i regnanti delle petromonarchie del Golfo, dall’Arabia Saudita al Bahrain, quest’ultimo con una maggioranza sciita dominata da una dinastia sunnita – a temere la destabilizzazione. Il Califfato dell’Isis, l’Ap e gli Houthi, che pur si detestano tra loro, hanno un comune denominatore: l’odio verso la casa dei Saud, custodi di Mecca e Medina e alleati storici degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita sente la pressione esercitata al suo confine settentrionale dal Califfato e su quello meridionale dagli Houthi e al Qaeda, una frontiera sfuggente, che corre lungo linee disegnate sulla sabbia dove non conta la fedeltà alla corona ma ai clan e alle tribù. E tutto questo avviene in un momento di grande incertezza per Riad che non riesce a vincere la partita siriana e neppure quella irachena. Il sovrano saudita Abdul Aziz Saud, 91 anni, è gravemente malato, come pure è male in arnese il successore designato, il fratellastro Salman bin Sultan, 79 anni, al punto che il probabile erede potrebbe essere il principe Muqrin bin Abdula Aziz, 69 anni. Ha il pregio di essere l’ultimo figlio vivente del fondatore della casata, Ibn Saud, ma a differenza degli altri pretendenti la madre Barak non è mai stata una delle mogli legittime e per di più era di origine yemenite, assai poco apprezzate nell’entourage reale. Una sorta di nemesi per Riad che quest’anno dovrà affrontare la successione, le tensioni ai confini, il terrorismo jihadista e gli effetti del crollo del petrolio che lei stessa ha voluto.