la Repubblica, 21 gennaio 2015
Berlusconi accetta tutto e Fitto è pronto alla scissione. Renzi aggira la fronda interna con l’emendamento Esposito: se lo si approva, cadono tutti i 40 mila emendamenti
«Questa è l’ultima chiamata, ci state o no?». Il tono di Matteo Renzi è ultimativo. Berlusconi prova a tergiversare, spiega che Forza Italia «questa cosa non la regge: non posso garantire per tutti». È a quel punto che il premier, nell’incontro mattutino a palazzo Chigi, tira fuori l’arma finale, mettendo l’ex Cavaliere con le spalle al muro: «Sia chiaro che noi sul premio alla lista andiamo avanti comunque, anche senza di voi. Ma se non accettate l’emendamento Esposito, a quel punto ci riteniamo liberi e sciolti. Il patto del Nazareno salta e saltano anche i capilista bloccati. Decidetevi». Un confronto teso, duro, che alla fine porta il pragmatico Berlusconi a capitolare. A costo di pagare un prezzo alto, fino alla possibile scissione dei fittiani.
Ora la strada dell’Italicum è spianata e la maggioranza può permettersi di rinviare di una settimana il voto finale. Renzi, a fine giornata, con i suoi si mostra tranquillo: «Ogni volta la stessa storia, tentano di fermarmi sperando che il nostro governo possa vivacchiare, tirare per le lunghe, fare stretching. ma noi siamo qui per cambiare il paese». Per il capo del governo il Pd sta reggendo bene allo stress test del Senato, dimostrando anche di aver iniziato a «cambiare pelle». «Chi avrebbe detto, qualche mese fa, che alla fine sarebbe stato un emendamento di un “turco”, un combattente come Esposito, uno che ha votato Cuperlo, a fare la differenza?». E poco importa se la capogruppo di Sel, Loredana De Petris, in Transatlantico si sfoghi proprio per il “tradimento” di Esposito: «Quella modifica gliel’ha scritta la Boschi e lui ha messo sotto la sua firma. È un giovane turco che deve dare la prova d’amore al premier». Adesso conta il risultato. Anche perché, mai come stavolta, l’Italicum e il patto del Nazareno hanno rischiato di finire fuori strada all’ultima curva.
I numeri infatti non giocano a favore del governo. Tolti i ribelli alla Gotor e qualche dissidente di Area popolare, i margini della maggioranza sono infatti risicatissimi. E i voti di Berlusconi decisivi. Il pallottoliere conta 154 voti certi (senza Fi e Gal) su una maggioranza assoluta di 162. Con qualche apporto dal Misto e dai senatori a vita, Renzi potrebbe arrivare solo per un soffio a farcela. Troppo rischioso rinunciare al soccorso azzurro, benché menomato di quella ventina di senatori di centrodestra che seguiranno Fitto nella sua guerra a Berlusconi e Renzi.
Il pressing di Luca Lotti e Lorenzo Guerini su alcuni dei senatori firmatari dell’emendamento Gotor pro preferenze qualche risultato l’ha prodotto, portando a ridurre di circa un terzo l’area del dissenso. «Voteranno l’emendamento Esposito. Un decina», racconta Renzi a fine giornata. «Sulla storia delle preferenze – continua ho smontato gli argomenti della minoranza uno a uno. Ho citato una dichiarazione di Bersani del 2012. La verità è che questa è la legge che abbiamo sempre voluto». La sfida sui capilista bloccati «è solo una scusa, per buttarmi giù, per indebolirmi. Vogliono le preferenze? Allora puntano a tornare ai tempi di Tangentopoli, questo deve essere chiaro». Un’argomentazione condivisa anche da un antirenziano come Ugo Sposetti, che infatti non voterà l’emendamento Gotor: «Se introduciamo le preferenze con collegi da oltre mezzo milione di persone chi trova i soldi per la campagna elettorale?».
Renzi è convinto di aver concesso il massimo ai ribelli – la soglia al 40% per il premio, lo sbarramento ridotto al 3%, la parità di genere, il premio alla lista – e «la questione delle preferenze è un problema che abbiamo risolto in fondo. A metà, ma è un risultato. Loro invece alzano sempre l’asticella». Per questo il premier ha visto ieri Berlusconi prima di Bersani. «Non è che mi fidi più del Cavaliere e di Verdini come dice Pierluigi, però non è accettabile un potere di ricatto di un parte del Pd». E i voti di Forza Italia sono necessari a superare i veti interni.
Se l’Italicum arriverà in porto la prossima settimana, prima comunque dell’inizio delle votazioni per il Quirinale, a palazzo Chigi si stanno invece rassegnando a rimandare la chiusura della riforma costituzionale a dopo l’elezione del capo dello Stato. Con i suoi Renzi ammette che a Montecitorio «incontriamo qualche difficoltà». In un corridoio del Senato il ministro Maria Elena Boschi lascia intendere che tutto il pacchetto potrebbe slittare: «Alla Camera ormai fanno ostruzionismo persino sul processo verbale. Sarà dura riuscire a chiudere prima del 29 gennaio. Comunque lì i numeri del Pd sono larghi, stiamo tranquilli. Un piccolo ritardo non cambia nulla». La minoranza dem punta a prendersi una rivincita sulla riforma costituzionale. Stasera alla sala Berlinguer di Montecitorio Bersani riunirà tutti i parlamentari d’area (sono attesi in 150) per «fare il punto» e coordinarsi sulla legge elettorale, sulla riforma della Costituzione. E sulla presidenza della Repubblica. «C’è un punto dirimente – preannuncia il deputato Andrea Giorgis – che va inserito nella riforma: il sindacato preventivo della Corte costituzionale sull’Italicum. Su quello non arretriamo, come sull’inserimento dei presidenti di Regione nel nuovo Senato».